di Rita
Frattolillo
Giuseppina Turrisi-Colonna (Palermo,
2.4.1822 – 17.2.1848), poetessa e patriota
Lauretta Li Greci (Palermo, 15.11. 1833 – 3.7. 1849), poetessa
A
Palermo la
chiesa seicentesca di San Domenico, che dà sull’ omonima piazza, è il Pantheon
dell’isola. Custodisce gli spiriti
eletti, i campioni siculi che credettero nell’Unità d’Italia, per essa
combatterono e morirono, e coloro che dopo il 1860 hanno provato a plasmare
l’Italia e a darle identità di nazione. Numerosi i musicisti e poeti qui
ricordati da monumenti e lapidi. Ma sono
due bei monumenti funebri ad attirare la mia attenzione, perché custodiscono i
resti mortali di due donne, entrambe ispirate poetesse, ed entrambe accomunate
da un destino avverso: la sofferenza e una morte prematura.
Lauretta Greci e Turrisi
Giuseppina, questi i loro nomi,
rappresentano la punta di diamante di una folta generazione di donne
intellettuali (Laura Beatrice Mancini Oliva, Mariannina Coffa chiamata la
“Capinera di Noto”, Ramondetta Fileti, Rosina Muzio Salvo) che, pur avendo dato
molto alle lettere e alla consapevolezza politica nel periodo cruciale del
Risorgimento, sono riuscite difficilmente ad avere visibilità. Quello che
colpisce, al di là delle loro vicende biografiche, è una costante che è
possibile rintracciare in tutte: l’appartenenza ad un ceto sociale alto
borghese o addirittura nobile.
Chiesa di San Domenico |
Oggi, con la
scolarizzazione per tutti, non ce ne rendiamo conto, perché diamo per scontato
che ognuno sia fornito degli strumenti per la conoscenza e mettere a frutto il
proprio talento, ma nell’Ottocento il sapere era un privilegio riservato agli
uomini, dal momento che il potere, il futuro della casata e del patrimonio
erano concentrati nelle loro mani. E sempre loro avrebbero preso il posto dei
padri, come avvocati, notai, farmacisti, medici, perpetuando i privilegi
della loro casta. Tuttavia le famiglie più avvertite e
consapevoli non si accontentavano di far coltivare alle ragazze l’arte del
ricamo, la musica e il francese, doti da spendere in vista di buoni matrimoni; ricorrendo ad un percorso di
educazione personalizzata, le avviavano allo studio del greco e del latino,
grazie ai servigi di un precettore privato.
Questo procedimento è comune al Sud come al
Nord della penisola ancora in pieno Ottocento. Le discepole più sensibili e
dotate, avvicinandosi alle letterature classiche, facevano il loro ingresso nel mondo della
creatività se si sentivano sollecitate a scrivere, ad esprimere i loro
sentimenti. Spesso tuttavia il loro margine di autonomia intellettuale era
piuttosto ridotto, perché influenzate dalle scelte del precettore.
Comunque, il primo
problema da affrontare era la padronanza dell’italiano, dal momento che in
Sicilia ancora a metà Ottocento il siciliano era visto come lingua ufficiale in
accordo con le diffuse correnti separatiste. Quindi scrivere, verseggiare
in italiano letterario costava alle
isolane una doppia fatica perché si trattava di impadronirsi della lingua
poetica. Di solito le future poetesse o scrittrici siciliane cominciavano con
l’impegno delle traduzioni, proprio allo scopo di colmare il loro svantaggio di
partenza, oltre che come forma di apprendistato poetico.
Giuseppina Turrisi
Colonna si misurò con il greco e il
latino, Muzio Salvo col francese e l’inglese, Fileti tradusse alcuni racconti
di E. A. Poe in italiano. Ovvio che la
discepola che aveva a disposizione il migliore maestro potesse contare su una
preparazione molto solida, cosa che si può dire proprio della Turrisi, che ebbe
come maestri prima Giuseppe Borghi e poi
Francesco Paolo Perez, e arrivò a padroneggiare il fiorentino, suscitando la
sorpresa dei salotti toscani.
Una maggiore
consapevolezza di sé, che cresceva di pari passo con la maturazione
intellettuale, ebbe come conseguenza che
le autrici siciliane, ognuna a suo modo, non si rassegnarono al proprio
destino, conducendo spesso battaglie nell’ambito familiare. La Turrisi, ad
esempio, rifiutò tutte le proposte di matrimonio fino a quando non riuscì ad
impalmare l’uomo da lei lungamente amato, il principe palermitano e grecista
Giuseppe de Spuches. Ma lottarono anche esponendosi per le loro idee
sociali e politiche: fondarono giornali
e riviste, collaborarono ad essi con interventi in cui incitavano alla rivolta
le altre donne, spingendole ad avere un ruolo attivo nella causa
risorgimentale. Il loro fu un impegno civile
molto forte e intenso, e già la
loro sola presenza, pur senza considerare le scelte “politiche”, fu vista
spesso come un’insidia al predominio maschile nel mondo della parola scritta.
Infatti non a caso furono
denominate intellettuali-donne, una specificazione che suona decisamente
discriminante. Nella sua breve vita Giuseppina
Turrisi ha bruciato le tappe, sembra
avere avuto fretta di realizzare quanto le stava più a cuore, perché il suo
dinamismo, il non essersi mai fermata danno davvero l’impressione di una che
sapeva che avrebbe lasciato presto questo mondo.
Seconda di cinque figli,
Giuseppina fu allevata in una famiglia nobile e colta. La primogenita, Anna,
mostrò ben presto grande inclinazione per l’arte, e infatti diventerà
un’apprezzata pittrice e ricercatrice. Giuseppina, ancora bambina, trascorreva
il suo tempo sui libri, componeva farse e commedie che poi recitava con i
fratelli in famiglia. La mamma Emilia Colonna, donna colta ed energica, curò
particolarmente l’istruzione delle figlie a cui trasmise i suoi stessi ideali, l’arte, la cultura e la
patria, che divennero il loro pane
quotidiano. Giuseppina e la sorella
vennero poi educate nell’esclusivo istituto francese “Revillon”, a Palermo, e
infine ebbero due istitutori
“domestici”. Il primo, l’abate Giuseppe Borghi, giunse a Palermo quando la
disputa tra classici e romantici era al culmine, e ottenne grande successo con
le sue lezioni sulla Divina Commedia.
L’altro insegnante, F. P. Perez, che aprì i suoi discepoli al metodo
socratico, basato sul confronto diretto
maestro-allievo, diffuse i nuovi ideali di patria e libertà. Giuseppina assorbì quegli ideali, che
ispireranno diverse sue poesie civili, tra cui Alla Patria. Su
sollecitazione del suo primo maestro, Borghi, che aveva introdotto in città gli
Inni sacri manzoniani, la ragazza ne compose alcuni, ma i suoi versi
erano ben lontani dalla cristiana
rassegnazione che quelli suggeriscono; lei esaltava le imprese di Giuditta, liberatrice
del suo popolo, facendo intuire, oltre al suo talento, la volontà di scuotere
le coscienze, l’amore per la Patria e la libertà. Comincia a tradurre i versi
di Lord Byron, che per lei rappresenta l’eroe romantico tormentato, il poeta e
il patriota capace di morire per il suo ideale di libertà. Tra le sue poesie
spicca una trilogia a George Gordon Byron, che a lei appare come un eroe; nei
suoi versi si colgono suggestioni foscoliane e leopardiane.
L’Addio di Lord Byron all’Italia
Alfin
partì. Chi del crudel momento/ Può narrar le memorie ed il dolore,
E
ciò che disse ai monti, all'acque, al vento/ Di quella terra ove lasciava il
core?
Oh come quel dolcissimo lamento/ Fu travolto per ira o per livore!
Qual menzognero addio sulle divine/ Labbra pose un Francese, un Lamartine?
Oh come quel dolcissimo lamento/ Fu travolto per ira o per livore!
Qual menzognero addio sulle divine/ Labbra pose un Francese, un Lamartine?
Taci!
L'italo amor del mio Britanno, Gl'itali sensi, oh male, oh mal comprendi:
Non
all'Italia no; ma frutteranno/ Onta infame a te stesso i vilipendi.
Italia morta? e innanzi a te non stanno/ Ancor vivi, temuti, ancor tremendi
Ugo, Alfieri, Canova' e presso a questi Sì magnanimi Eroi, dinne, che resti? —
Italia morta? e innanzi a te non stanno/ Ancor vivi, temuti, ancor tremendi
Ugo, Alfieri, Canova' e presso a questi Sì magnanimi Eroi, dinne, che resti? —
Quella
terra, quel ciel che l'innamora,/ Pien di mille pensier, di mille affetti,
Giorgio saluta dalla mesta prora/ Coi sospiri, coll'anima, coi detti:
Giorgio saluta dalla mesta prora/ Coi sospiri, coll'anima, coi detti:
Chi non sogna di te? chi non t'adora,/ O bella
Patria d' animosi petti
Bella Patria dell'arti! il viver mio/ Tu che allegrar potesti, Italia, addio.
Bella Patria dell'arti! il viver mio/ Tu che allegrar potesti, Italia, addio.
Se già dall’inizio si intuisce in lei la ragazza dotata di talento, è in occasione della drammatica epidemia di colera del 1837 che miete migliaia di vittime in tutta la Sicilia, che Giuseppina esprime la sua forza in versi (pubblicati in volume nel 1841) di incitamento ai suoi conterranei per ritrovare comunque la speranza, per risorgere in nome dell’amore di patria. Suggerisce a tutti, ma soprattutto alle altre donne, di guardare all’esempio delle eroine antichi, come Giuditta e Giovanna d’Arco.
Incalza le sue lettrici e le spinge a reagire, per ridare orgoglio,
forza e audacia al loro genere e alla
società in cui fanno disgraziatamente
solo da spettatrici.
Disegna una costellazione
femminile in cui punti di riferimento poetici sono Vittoria Colonna, contessa
di Vasto in Abruzzo, e Gaspara Stampa.
Spetta alle donne, scrive Giuseppina, far
ritrovare alla Sicilia l’antico splendore e la grandezza di un tempo, purtroppo
perduti, e questi propositi li esprime nell’ode Alle donne siciliane, scritta quando, nel 1843, da Parigi le
chiedono – prestigioso riconoscimento – un componimento da includere nel Parnaso italiano dei poeti contemporanei.
Per lei, femminista viva e originale alla stregua di tante altre patriote e
letterate del suo tempo, “né trastullo né servo è il nostro sesso”, e
l’educazione dei figli è un compito nobilissimo, in quanto è la madre che
plasma i futuri cittadini. Quindi, la “somma virtù” muliebre è indispensabile
alla patria, che ha bisogno di nuova linfa, perché solo attraverso il
risorgimento morale si può raggiungere quello politico, ed è questo ideale -
tenuto sempre alto e fermo - di donna “eroica” che combatte per un’Italia
unita, a caratterizzare la sua
corrispondenza con altre poetesse, a distinguere i suoi articoli sul polemico
giornale La ruota.
Nel 1846 poté realizzare
un ambito soggiorno a Firenze, accompagnata dalla madre e dal fratello
Giuseppe. Fu l’occasione tanto attesa di
studiare la lingua di Dante, e di conoscere i maggiori esponenti della cultura
toscana, da Guerrazzi a Giusti. Contattò l’editore Le Monnier, e in luglio pubblicò un volumetto di liriche
che incontrò un buon successo in tutta Italia. Ad agosto rientrò a Palermo e l‘anno successivo, il 29 aprile,
poté finalmente sposare Giuseppe de
Spuches, principe di Galati.
Il 17 febbraio 1848,
mentre il cannone dei rivoluzionari insorti rombava a Porta Maqueda, Giuseppina
spirava colta da un aneurisma, tre giorni dopo aver dato alla luce una bimba
che morì poche ore dopo il parto. Il marito, colpito dall’atroce perdita, le
dedicò cinque elegie latine, e volle per
lei un monumento nel Pantheon, opera dello scultore Valerio Villareale. A tre
giorni di distanza anche la sorella Anna moriva di tisi.
Lauretta Li Greci cominciò presto a scrivere versi in cui spesso affioravano
cupi pensieri di morte, versi dolci e malinconici che a poco a poco la fecero
conoscere e apprezzare nella sua città. Il
suo nome si è in tal modo legato alla sua precoce produzione poetica,
limitata per la forza degli eventi. Il 3
luglio del 1849, a soli diciassette anni, consunta dalla tisi, Lauretta morì.
La poetessa Rosina Muzio
Salvo ha ricordato la sua breve parabola esistenziale, e i palermitani commossi
dalla prematura tragica fine della giovane,
hanno voluto tributarle l’omaggio sepolcrale nel Pantheon perché Lauretta “sentì nobilissimi affetti e
in versi nobilissimi li trasfuse”.
Rita Frattolillo © 2014 Tutti i diritti riservati
Fonti e bibliografia
La mia visita nella città
di Palermo nell’estate del 2009, che mi ha fatto scoprire anche i tesori poco conosciuti dello straordinario
capoluogo della Sicilia.
F. CORRIDORE, Della
letteratura in Sicilia nella prima metà del secolo scorso, Manuzio, Roma,
1914, p.6 sg.
Amelia CRISANTINO, Lapoetessa femminista che incitava alla rivolta, su “La Repubblica
Palermo.it” del 7.3.2008
M. DI GESU’, GiuseppinaTurrisi Colonna, L’addio di Lord Byron, “Doppiozero”
F. GUARDIONE, Poesie
di Giuseppina Turrisi-Colonna, Le Monnier, Firenze 1915
G. MAZZONI, L’Ottocento,
vol II, Vallardi, Milano, 1964, Lauretta Li Greci, p. 1264 sg.
Manuela SAMMARCO, Letterate e partecipazione politica al 1848palermitano: l’esperienza di Rosina Muzio Salvo
Interessantissimo. Secondo me , sarebbe importante di fare conoscere nelle scuole queste storie di donne. Dei modelli per le ragazze.
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