Due giornaliste, con alle spalle 20 anni di ricerche biografiche, hanno deciso di concentrarsi sul variegato mondo femminile, così poco studiato fino a non molto tempo fa e che la storia ha spesso relegato nel dimenticatoio...

sabato 22 marzo 2014

Costanza di CHIAROMONTE o CHIARAMONTE


di Barbara Bertolini

(Sicilia 1377 circa– Riccia, Molise 1424?), regina di Napoli ripudiata

Le parole del conte suo padre la lasciano meravigliata e confusa. Per la prima volta nei suoi nove anni di vita, l’ha fatta chiamare nella grande sala delle cerimonie del sontuoso palazzo palermitano, al cospetto di tutta la famiglia, per annunciarle la lieta novella: sarà regina, regina di Napoli.  Una girandola di pensieri si accavallano nella sua mente. Cosa vuol dire? Deve piangere? Essere contenta?  Anche i fratelli, Andrea e Filippo, in genere così avari di complimenti, l’abbracciano felici, augurandole numerosa prole. Per Manfredi III di Chiaromonte, conte di Modica e di Malta, ammiraglio e vicario generale del Regno di Trinacria, è stato un grande onore ricevere la richiesta di matrimonio da parte del 12enne Ladislao d’Angiò Durazzo,  che il 7 marzo del 1387,  dopo la morte del padre Carlo III, è diventato re di Napoli. La regina madre Margherita, che fa le veci del figlio, aspettando la sua maggiore età, e che conosce le fortune del Conte di Modica signore di gran parte della Sicilia, ha, infatti, mandato gli ambasciatori a Palermo a trattare il matrimonio tra la bella Costanza e il figlioletto Ladislao per cercare di salvare, con i soldi della dote, il suo traballante trono. Il  siciliano, discendente come i Durazzo dalla stirpe capetingia dei re di Francia, ha acconsentito, anche perché spera con questa alleanza di avere l’appoggio dell’armata durazziana per conquistare successivamente tutta la Sicilia.

La giovinetta aspetta di essere congedata prima di gettarsi, in lacrime, tra le  braccia della mamma.

Ha appena nove anni e la proiezione del suo futuro è solo quella che può vedere una bambina di quell’età che nei  giochi si è mille volte immaginata regina. Ma ora non è più una finzione, deve abbandonare tutto per andare a vivere in un paese lontano con quel ragazzino, dall’aspetto caparbio, che ha visto solo nel ritratto portato dagli ambasciatori di Margherita Durazzo.
Re Ladislao Durazzo e gli Angioini

  
Costanza è stata educata al rispetto delle rigide regole di corte. Non può, quindi, piagnucolare come una bambina capricciosa, e deve capire che con quel matrimonio avrà diritto al rispetto di tutta la sua casata. L’apparente freddezza dei sentimenti tenuti nei suoi confronti da parte dei famigliari le consentono, ora, di lasciare il suo mondo senza guardarsi indietro. Per addolcire questo brusco distacco, la sua balia, che l’ha vista nascere, e sei ancelle la seguiranno e la serviranno nella sua nuova vita.

A prelevarla per accompagnarla a Gaeta, la Regina Margherita invia a Palermo il  viceré di Ladislao,  accompagnato dal Principe di Riccia e da molti altri baroni  e cavalieri, mirabilmente accolti e onorati per vari giorni con grandi festeggiamenti dal conte di Modica. Finiti i quali, Costanza parte dalla sua bella isola – e non sa che non vi farà più ritorno – una bella giornata di settembre del 1389. Viene scortata, insieme ai dignitari napoletani fino al porto, dove l’aspettano quattro galee cariche di ogni ben di Dio: la ricca dote che porta in dono al re, e che Manfredi di Chiaromonte ha scrupolosamente selezionato perché non vuole sfigurare con il futuro genero.
Palazzo Steri in un disegno del '700


La traversata è felice, un leggero vento di ponente ha spinto le imbarcazioni verso la meta. Al largo di Gaeta le viene incontro un bastimento con re Ladislao a bordo. E’ molto più bello del ritratto, la saluta con un inchino, le sorride e, dopo aver baciato un fiore, glielo lancia. Con questo gesto  galante Ladislao si conquista l’eterna fedeltà di Costanza.

Appena attraccate le galee al molo, è accolta dalla regina Margherita e dai suoi dignitari.  Poi si forma un corteo che esibisce per le vie di Gaeta la ricca dote della sposa, caricata su carri. Costanza comincia a capire cosa vuol dire essere la figlia di Manfredi conte di Modica, possessore di buona parte della Sicilia e da un anno anche dell’isola di Gerba (Djerba). I popolani rimangono abbagliati da tanto lusso. A ricordo dei gaetani non s’è mai visto nulla di simile: i tappeti, gli arazzi, l’argenteria finissima, il vasellame dai colori sgargianti, le gioie, il corredo, i quadri, i vasi enormi colmi di derrate, le stoffe raffinate.  Lei, bellissima, esile, dall’incarnato chiaro, si comporta come una vera regina, sorridendo a tutti, e tutti l’acclamano festanti.

I grandiosi festeggiamenti organizzati da Margherita, che non vuole essere da meno del siciliano, si protraggono per un’intera settimana e poi, per  Costanza, comincia una nuova vita dove le è difficile capire certe cose. Per esempio, perché Ladislao vive a Gaeta e non a Napoli dov’è la capitale del suo regno? Perché alla recente notizia della morte del Papa hanno tutti giubilato, come se a lasciare questa vita fosse stato un vile plebeo e non un sant’uomo? Perché il loro matrimonio non si è ancora celebrato? Quando sta con lei  re Ladislao preferisce giocare o andare a  cavallo. La Regina Margherita è inavvicinabile, sempre circondata dai cortigiani, sempre a dare ordini, a fare piani. Costanza si rende conto ben presto che per comprendere le cose di corte può contare solo sulle ancelle e l’adorata balia Rosalia.  E Rosalia le spiega con pazienza che i Durazzo sono stati cacciati da Castel dell’Ovo da Luigi II d’Angiò, ma che Margherita sta preparando un’armata per riconquistare il trono. A comandare l’armata  sarà messer Alberico di Cunio.
«Non è vero che hanno gioito alla morte di papa Urbano VI  –  sostiene Rosalia –  ma si sono rallegrati dell’elezione di Bonifacio IX, perché il napoletano Pietro Tomacello, questo il suo nome, è il protettore di re Ladislao, che Dio lo benedica. Anzi, vedrai mia regina – aggiunge la balia – grazie a questo papa tu e il re vi sposerete presto perché l’altro papa si è opposto al vostro matrimonio, troppo picciotti fustivo».

Infatti, l’11 maggio 1390 il Papa invia a Gaeta il Cardinale Angelo Acciaiuolo  di Firenze per celebrare le nozze. Ladislao di appena 14 anni e Costanza di anni 10 sono  solennemente  incoronati nel Duomo della Città. Si dà lettura anche della Bolla di investitura del Reame.

Per Costanza cambia ben poco dopo la cerimonia dell’incoronazione ufficiale e del suo matrimonio. Come regina è circondata da cortigiane che mendicano le sue attenzioni, mentre vede  raramente il suo sposo e la regina madre. Le notizie delle battaglie per riconquistare il trono di Napoli che le giungono non sono rassicuranti. La strategia di Messer di Cunio per attaccare   le milizie sanseverinesche di Luigi II d’Angiò avrebbe fallito. Infatti, secondo quanto le è stato raccontato, non solo i durazziani, che in un primo momento sembravano favoriti nella battaglia, si sono fatti sconfiggere da Tommaso ad Ascoli, ma addirittura gli angioini hanno fatto prigionieri tutti i capitani di Ladislao.

La conferma di queste voci per una volta le viene dallo stesso re. Sembra prostrato, quasi in lacrime. «Quei briganti degli angioini chiedono un riscatto enorme per liberare i miei uomini d’arme», dice. «Serviranno tutti i soldi del tesoro reale. E poi in questa battaglia Luigi II D’Angiò  si è preso pure i possedimenti di  Castel Sant’Elmo e Castelnuovo».  Costanza non sa come consolarlo. «Sire – dice – mio signore, non vi preoccupate, posso chiedere al conte mio padre, sono sicura della sua grande generosità, ci aiuterà di sicuro».

Ma dalla Sicilia le giungono terribili notizie. In un periodo in cui bastano poche terre per fare un regno, e ognuno complotta, intriga e s’allea per difendere con le unghie e con i denti i propri possedimenti, anche il conte Manfredi si trova in grandi difficoltà. Dalla morte di  re Federico III nel 1377, che ha lasciato erede la figlia quindicenne Maria,  l’isola è in preda ai disordini e vede contrapposti i capi della nobiltà catalana e quelli detti di “razza latina” capeggiati dal Chiaromonte. Essi, infatti, mirano al rapimento della ragazza che, per testamento, deve rimanere fino ai 18 anni sotto tutela. La fuitina, permetterebbe, invece, il matrimonio e, quindi, la corona dell’isola al rapitore.

Il progetto, tentato anche da altri, riesce però a Martino il giovane, discendente di Pietro IV d’Aragona, che fa prelevare la regina e la porta al sicuro a Cagliari e poi a Barcellona abbandonando la Sicilia all’anarchia.
Siamo alla fine del 1390 e il Chiaromonte muore proprio mentre sta contrastando i piani di Martino.
Palazzo Steri a Palermo

Nel momento in cui Costanza piange la morte del padre, arrivano altre notizie ancora più spaventose. Andrea e Filippo, i due fratelli, sono morti, e i beni della famiglia sono stati confiscati da Martino, che è riuscito nel suo intento di sposare Maria facendo piazza pulita di tutti i suoi rivali, grazie anche all’aiuto del padre. Andrea di Chiaromonte, subentrato al padre nei feudi,  infatti, è stato accusato di complotto e giustiziato per questo davanti al suo palazzo, mentre Filippo alla notizia dell’esecuzione del fratello si è gettato in mare da una rupe con il proprio cavallo.

La regina-bambina non solo piange la morte dei propri cari e la perdita delle sue fortune, ma deve sopportare la suocera che la maltratta. Margherita, infatti, è furiosa perché oltre ad aver dissipato tutta la dote della siciliana in una guerra onerosa e inutile, ora non sa più a chi chiedere aiuto dopo che i beni del casato di Chiaromonte sono stati tutti confiscati.

A Costanza non è risparmiato proprio nulla, perché è Ladislao a darle il colpo di grazia a due anni appena dal loro matrimonio. Il re, probabilmente convinto dalla madre che spera in un nuovo sposalizio, ha deciso di ripudiarla. La fanciulla non ha più protezione, non ha più nulla da offrire. Inoltre, per togliere qualsiasi scrupolo al figlio, la scaltra Margherita fa correre la voce che la vedova di Chiaromonte, Eufemia Ventimiglia (mamma di Costanza) se la intende con  re Martino.

Papa Bonifacio IX, a cui Ladislao si è rivolto per perorare la sua causa, non solo accoglie la richiesta del suo pupillo di ripudiare Costanza, ma gli offre anche un’ingente somma di danaro per continuare la guerra contro Luigi II.

Sono già quattro volte che la fanciulla cerca di leggere la bolla Papale, ma le lacrime non le consentono di decifrare i segni grafici sulla pergamena. Margherita, che l’ha fatta chiamare, indispettita, le strappa il foglio di mano e le dice: «Qua c’è scritto che il matrimonio è stato annullato perché non consumato. E poi, afferma anche che mio figlio il Re non ti poteva sposare perché l’11 maggio 1390 non era ancora maggiorenne. Capisci, scimunita - le dice la Regina madre Margherita - lo sai cosa vuol dire non consumato? Che non avete fatto all’amore, che non sei stata capace di farlo. Per cui, lo dice anche il Papa che oggi in cattedrale ti ha fatto togliere l’anello dal vescovo, non siete mai stati sposati  E ora, vattene da quella sgualdrina di tua madre, vedrai che lei te lo saprà spiegare cosa vuol dire fare all’amore».

Seduta davanti al camino la giovane è assorta nei suoi pensieri. L’unica stanza dove, dopo il divorzio, dovrà vivere con la balia e le sue ancelle, è nera di fuliggine. Pochi ceppi ardono nel camino. La casetta che le è stata assegnata dalla regina è un tugurio non molto lontano dal castello. «E’ tutta colpa mia, dovevo giacere con Ladislao», pensa.  «Che sfortuna, certo il re come poteva tenermi se non ho più nulla da offrirgli».

Cacciata da Margherita, è Rosalia che prende in mano la situazione. Per fortuna, almeno una parte del corredo della siciliana, in un atto di ira,  è stato buttato dalla finestra dalla regina Madre. Le ancelle e la balia lo hanno subito raccolto e portato nella nuova dimora. Grazie alla vendita di quello e ai lavori di ricamo che riescono a fare, le quattro donne sopravvivono a stento. Costanza non si tira indietro, sempre gentile, sempre servizievole. A vederla, così bella, soave,  che ricama con tanta attenzione per le ragazze del paese, lascia tutti meravigliati. Da quella bocca non esce mai un lamento, mai un’accusa. Ben presto, l’accettazione di un destino così avverso le attira l’ammirazione della gente che comincia a criticare Margherita, giudicandola troppo cattiva nei confronti della nuova. Una situazione che crea imbarazzo alla vecchia regina. 

Costanza non lo sa, o non vuole saperlo, ma un bel ragazzo, che ha la stessa età del re, quando si reca a palazzo reale allunga sempre la strada per passare davanti alla sua casa con il cavallo. Fa finta di controllare gli zoccoli dell’animale proprio di fronte alla porta del tugurio di Costanza, cercando di sbirciare per incrociare il suo sguardo, ma la siciliana non transige, lei è stata e sarà sempre la moglie di Ladislao. Questa manovra, invece,  non passa inosservata alla gente che riferisce a corte. Sono trascorsi tre anni dal ripudio e Ladislao, che grazie ai finanziamenti del Papa è riuscito a risollevare le sorti del suo zoppicante regno,  decide, per fermare le voci malevoli,  di sistemare la sua ex moglie, dandola in sposa ad un ricco aristocratico.  Non deve cercare molto perché quel ragazzo che si è invaghito della bella e onesta Costanza è Andrea, primogenito del Principe di Ricca e IV Conte di Altavilla,  suo intimo amico dall’infanzia.

Costanza ha ormai 15 anni e per lei questo matrimonio è la cosa peggiore che le potesse capitare perché ora è sicura che Ladislao non la vuole davvero più.
Le nozze saranno celebrate a Gaeta il 7 ottobre 1396 (vedi note). Per Ladislao, invece, questo sposalizio è una vera liberazione. Per tacitare la coscienza e sentirsi totalmente a posto nei confronti della siciliana, ma anche saldare un debito di riconoscenza con i de Capua, assegna alla “zita” una dote di trentamila ducati. 

E’ difficile far capire a Costanza che per lei questo matrimonio è invece una grande fortuna. Le sue ancelle hanno cercato di farla ragionare, di farle intendere che non deve più pensare a Ladislao e che deve, invece, riconoscenza al Principe Andrea che l’ha tolta dalla miseria.

Ma Costanza ha un grosso peso sul cuore e ci tiene a dirlo ad Andrea; poi si affida alla volontà di Dio.  Infatti, appena montata sul cavallo che la porterà a Capua, a rendere omaggio al padre dello sposo, Luigi de Capua, scortata da Baroni e Cavalieri, davanti ad una moltitudine di gente accorsa per salutarla, la siciliana si sfoga: «Andrea di Capua, tu puoi tenerti il più avventurato Cavaliero del Regno, poiché avrai per concubina la moglie legittima di Re Ladislao tuo Signore». Poi, nella commozione generale, scoppia in lacrime. 

Nella città napoletana, a palazzo Marigliano, Andrea e Costanza dimorano per due anni, fino a quando un colpo di bombarda toglie la vita a Luigi de Capua e fa succedere il figlio primogenito Andrea nei titoli e nei feudi che egli possedeva.

Sopite le delusioni e le amarezze, la moglie di Andrea de Capua, Principe di Riccia, conte di Altavilla, arriva regale nel Molise su una carrozza scortata  da molti baroni a cavallo, in gran lusso d’abiti e d’armi. La fama l’ha già preceduta: bella, giovane, intelligente e irreprensibile. E’ una limpida giornata di maggio, tutta la campagna è un tripudio di colori, ad accoglierla un tappeto di rose e la popolazione festante che aspettava questo avvenimento da mesi. Le nobili damigelle di Riccia di casa Sedati la baciano  accarezzando i suoi abiti sontuosi. A lei, che è stata regina per due anni, che ha vissuto i fasti di una corte lussuosa in Sicilia, non sembra posto più bello per vivere. L’affetto e la gioia sincera della gente la commuovono. Troppo brutti sono stati gli anni della sua adolescenza. Tanti giochi di potere si sono fatti sulla sua testa e lei, ora, anche se per maturità supera abbondantemente i suoi 17 anni, aspira a una vita fatta di sentimenti veri, duraturi. Riccia le sembra la sua oasi, il rifugio dove aspettare l’irrequieto marito.
Panorama di Riccia

La nascita di Maria, poco dopo l’arrivo a Riccia, sancirà la fine dei suoi patimenti. Nemmeno la notizia dell’imminente matrimonio di Ladislao la ferisce più.
Una sola notizia le fa sobbalzare il cuore: Re Martino,  spinto dal pontefice,  reintegra nei feudi gli  Ottimati siciliani dichiarati ribelli. C’è dunque una possibilità per lei di ritornare in possesso dei suoi beni in Sicilia, in particolare di palazzo Steri a Palermo, dove ha trascorso gli anni più belli della sua vita. Purtroppo non ottiene nulla,  poiché è stata moglie prima e vassalla poi di un re nemico degli Aragonesi.

Dopo questo ennesimo smacco, la virtuosa principessa si rinchiude nel castello di Riccia, dedicandosi ai suoi doveri di madre e occupandosi dei suoi vassalli, cercando di lenire le loro sofferenze e di soccorrere i più miserevoli. Non ha nemmeno voluto seguire Andrea, governatore della Terra d’Otranto, preferendo la vita tranquilla del piccolo borgo molisano ai suo palazzi sia di Napoli che di Altavilla.

Ladislao muore il 6 agosto 1414,  dopo quattro giorni di terribile agonia, senza eredi, assistito solo dalla sorella Giovanna II, probabilmente vittima della sua sfrenata  vita sessuale.  Ma lei riesce ad avere unicamente parole di perdono e di pietà per l’uomo che l’ha ripudiata.

Nel 1418 nasce il secondogenito Luigi e, circa due anni dopo (1420 o 1421, le date non concordano), muore anche Andrea. La figlia Maria è maritata  nel 1422, dopo la morte del padre, a Francesco Cantelmo conte di Popoli. Rimasta vedova, conclude un successivo matrimonio con Baldassarre della Ratta, Conte di Caserta.
Costanza sopravvive al marito pochi anni.
La sua  morte lascia la popolazione di Ricca nello sconforto. Scompare la loro benefattrice, la gentile principessa che ha saputo confortarli, aiutarli e difenderli. I suoi vassalli seguono il feretro con devota commozione e profondo dolore.


Sia Costanza di Chiaromonte che il Principe Andrea De Capua sono sepolti nella cappella gentilizia di Riccia, accanto al corpo di Luigi De Capua.  Il pronipote Bartolomeo III erige loro un monumento per  eterno ricordo. 

A Riccia questa gentile figura di donna ha ispirato molti poeti del luogo. Tra questi, Costantino Fanelli che nel 1858 scriveva:
Su quella tomba de l’oblio coperta
La pietosa raccolsi ala del canto,
Che’ su la terra non vi fu più esperta
Donna d’amore immenso e immenso pianto
Di colei che vi dorme già diserta,
Polverosa stanca dal dolor più santo;
E spira dalla pietra ov’è serrata
Quella pietà che le fu un dì negata.

Alfonso Amorosa scriveva nel 1862:

La bella figlia di Manfredi. Oh! Quale
A lei malinconia lo scarno viso
Velava; il tetto rammentando, in cui
Piccola crebbe fra i materni vezzi
E il tripudio d’ingenue fanciullette.
Oh! Quante volte se la strinse al petto,
Inebriato di letizia di padre!
Sposi felici! Inconsci dell’immenso
Dolor che inesorabile destino
Alla prole serbava.



©Barbara Bertolini 2014, tutti i diritti riservati

Note:
Per romanzare questa storia mi sono ispirata a quanto scritto nel “Diario dell’ambasciata castigliana alla corte di Tamerlano (1403-1406), a cura di Anna Soinelli”. Gli ambasciatori erano, infatti,  arrivati a Gaeta qualche anno dopo il ripudio di Ladislao,  quando tra il popolo era ancora molto vivo il ricordo di Costanza e del  crudele trattamento fattole subire dalla Regina madre, Margherita di Durazzo. Tra l’altro, nel diario, gli ambasciatori osservavano,  malignamente, come Costanza fosse stata ripudiata, secondo quello che gli era stato detto a corte, perché non aveva dato figli a Ladislao, mentre, appena sposata al Principe di Riccia,  aveva subito generato. Ladislao di Durazzo, per la cronaca, è morto senza lasciare figli.

Il nome di Costanza l’ho scritto in due modi diversi perché nei vari documenti si trova sia Chiaromonte che Chiaramonte.  Sulle lapidi, fatte incidere dal pronipote Bartolomeo De Capua, che si trovano sia nella chiesa del Beato Stefano di Riccia, tomba dei due coniugi Andrea e Costanza, e a Palazzo Marigliano di Napoli, il nome è “Costanza di Chiaromonte”.
Trascrivo qui la lapide di Riccia:

ANDREÆ DE CAPUA COMITI ALTAVILLÆ
YNDRUNTINE REGIONIS PRO REGI LAUDATIS,
HUNC ADEO DIVUS LADISLAUS SICIL. REX
OB SINGULAR. ANIM. ET CORP. DOTES DILEXIT
UT EUM EX OMNIBUS  REGNI PROCERIBUS
COSTANTIÆ DE CLAROMONTE SICIL. ORIUNDE
FORM. ETAT. AC GENERIS NOBILITAT. PRESTANT.
AMPLISSIMA DOTE VIRUM DELEGERIT
QUI SECUM HIC UNA DORMIUNT
BARTHOLOMEUS III COMES ALTAVILLÆ
SEPULCRÛ HOC OFFICIOSISSIME POSUIT I D.»

Per la data del matrimonio tra Costanza e il principe di Riccia, gli storici avevano ritenuto fin ad ora come probabile quella del 16 dicembre 1395 nel Duomo di Gaeta, mentre un documento, portato alla luce di recente dallo storico di Riccia, Antonio Santoriello, posticipa questa data al 7 ottobre 1396. Infatti, nel  documento, tratto dai Libri de’ Matrimoni della Famiglia de Capua, trascritti a metà del ‘600 da Giovan Giacomo De Transo e pubblicati nel 1892 da Angelo Boccoli, vi si legge:

Andrea de Capua 4° Conte di Altavilla a 7 di ottobre 1396 si casa con intervento del Conte Loise suo padre, et legittimo administratore. Il Re li promette per le doti sub regali verbo 30 mila fiorini d’oro da pagarseli fra un anno dopo la recuperatione della città di Napoli, con condizione che si avante la detta recuperatione devolvesse alla sua Corte, qualche Città, Terra o Burgensatico, se li dia per giusto prezzo in conto di detta dote, et fra tanto se li promettono annue onze 220 cioè 120 sopra l’entrate di Gaeta, et 100 sopra l’entrate di Capua, et li promette per maggior cautela darle in pegno la Terra nominata la Gonessa della Provincia d’Apruzzo, et detto contratto fu stipulato in Gaeta per Notaio Antonio Saracino a 29 Ottobre 1396”.

Fonti:
Amorosa B., Riccia nella Storia e nel Folk-lore, Stab. Tip. Nicola de Arcangelis, Casalbordino 1903
Cianci di Sanseverino, Costanza di Chiaromonte, Napoli, Edizione Cimento, 1955;
Cutolo A., Re Ladislao d’Angiò Durazzo, Arturo Bersino Editore, Napoli 1969
Ammirato S. Delle famiglie nobili napoletane, , vol. I, ristampa anastatica, Forni edit., 1973
Fodale S., voce Costanza Chiaramonte, DBI, vol. 30, Treccani, Roma1984
Albanese C., Un regno perduto, Casa Editrice Fausto Fiorentino, Napoli 1990
Galasso G., Il Regno di Napoli. Il mezzogiorno angioino e aragonese (1266-1494), Utet, Torino 1992
Kiesewetter A, voce Ladislao Durazzo, DBI, vol. 63, Treccani, Roma 2004
Frattolillo R., Bertolini B., Il tempo sospeso. Donne nella storia del Molise, Filopoli, Campobasso 2007
Santoriello A., Costanza di Chiaromonte, dalla storia al mito, “Il bene comune”, luglio/agosto 2008, pp. 78-83

Internet:

Nobili napoletani, famiglia de Capua (con lapide dedicata a Costanza di Chiaromonte).

Calise Anna, Parte il palio del mare con il corteo storico, Gaeta 23 luglio 2003 http://www.telefree.it/news.php?op=view&stampa=1&id=3801

Sant’Agata dei Goti. Immagine di re Ladislao Durazzo e suo padre Carlo tra i beati in un affresco della Chiesa della Santissima Annunziata.

Ritratto di Ladislao Durazzo nella pergamena n. 30 dell’Archivio di Tocco di Montemiletto.



1 commento:

  1. Molto affascinante ed evocativo questo ritratto della regina Costanza. La visita alla cappella del Beato Stefano, che ancora conserva i resti dei de Capua e di Costanza, aggiunge fascino a questa storia grazie alla semplicità regale dell'architettura e delle decorazioni. Un'esperienza da fare e rifare.

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