(Venezia,
8.04.1888 - Como, 29.10.1961), critica d’arte, giornalista
di Rita
Frattolillo
Animatrice
di grande spessore culturale e artistico della scena politica e culturale,
Margherita Sarfatti è stata protagonista della politica italiana di inizio
Novecento.
La nascita e la prima formazione
Margherita Grassini nasce a Venezia l’8 aprile 1888,
in una ricca e colta famiglia ebrea, quarta ed ultima figlia di Amedeo ed Emma
Levi. Amedeo Grassini era una figura di spicco: avvocato e consigliere
comunale, cugino di Levi Ginzburg (padre della scrittrice Natalia), amico del
futuro papa Pio X (Giuseppe Sarto), aveva fondato con Giuseppe Musatti la prima
società di vaporetti veneziani, e aveva costituito anche un gruppo finanziario
per avviare la trasformazione del Lido in località turistica. Quando nel 1894 i
Grassini lasciano il ghetto per trasferirsi nello storico palazzo Bembo, sul
Canal Grande, il prestigio della famiglia cresce di parecchio.
Margherita,
capelli rossi e occhi verdi, intelligente e vivace, dalla curiosità
insaziabile, riceve un’ottima educazione: Dopo le istitutrici tedesche,
francesi ed inglesi, approfondisce il suo sapere con insegnanti che sono tra le
personalità più note dell’intellighentia veneta, come Pietro Orsi, Pompeo
Molmenti, Antonio Fradeletti.
Grazie alla posizione del padre, ha modo di conoscere
Israel Zangwill (che lei definì il “Dickens ebreo”), Gabriele D’Annunzio e i
Fogazzaro.
Una ragazza fuori dagli schemi
A 15 anni
mostra propensione per l’individualismo e la modernità, non si lascia
condizionare dalla religione di famiglia, e comincia a manifestare disprezzo
per il decoro borghese, si ribella alle convenzioni di ogni genere che
soffocano le donne. Scopre il pensiero di Marx e di Petr Kropotkin, si converte
al socialismo.
Fin da ragazza affascina per la sua bellezza fuori
dell’ordinario, con quegli occhi grigio-verdi e i capelli color rame, e attira
il suo temperamento ribelle, insofferente al perbenismo borghese. Malgrado i
divieti paterni, Margherita comincia a frequentare i ceti emarginati, che
ispirano i suoi primi articoli pubblicati su riviste socialiste di Torino con
lo pseudonimo “Marta Grani”. Conquista notorietà tra i socialisti locali come
“la vergine rossa”, riferimento a Luisa Michel che nel 1871 aveva capeggiato la
Comune. Indifferente al disagio familiare
e all’ira paterna, divora testi di economia, di teorie socialiste e tematiche
femministe scoprendo in Ruskin una tesi che condividerà: il capitalismo
trasforma l’uomo in una macchina incapace di pensare. Ed è anche per garantirsi
spazi di libertà — che la società dell’epoca non permetteva neanche alle donne
dei ceti alti — che Margherita, malgrado le obiezioni dei genitori, il 29
maggio1898 sposa un avvocato israelitico, Cesare Sarfatti, di 14 anni più
grande, conosciuto nel 1895 durante un concerto alla Fenice diretto da Arturo
Toscanini.
Fascinoso e ambizioso, intelligente, l’uomo era un
fervente mazziniano, ma, conquistato dalle doti non comuni della ragazza,
aderisce al Partito Socialista, che annoverava l’emancipazione femminile tra i
suoi obiettivi. Sfidando il padre, che era ostile alle nozze, Margherita
attende il suo diciottesimo anno per sposare Cesare civilmente. Più tardi
scriverà: «A tredici anni m’innamorai della pittura, a quindici di un’idea, a
sedici di un uomo: a diciassette anni sposai nello stesso tempo le Lettere, le
Arti, quest’idea e quest’uomo». Ne assume il cognome e con esso da quel momento
firmerà tutte le sue opere.
Tra Arte e Politica
La coppia, in viaggio di nozze a Parigi, scopre
Toulouse-Lautrec, acquista la serie completa delle scandalose litografie
“Elles”, e al ritorno organizza il Partito Socialista a Venezia. Il loro
salotto è frequentato da intellettuali non solo veneziani, e, tra cene
raffinate e discorsi politico-artistici, lavora per organizzare il partito. Ma
a Venezia mancano industrie, quindi manca una classe operaia vera e propria —
si tratta per lo più di pescatori e gondolieri — e allora Cesare offre loro
patrocini gratuiti, fonda il giornale “Il secolo nuovo” a cui collabora
Margherita, che vi esordisce come critico d’arte della IV Biennale di Venezia,
dove è già accreditato il giornalista socialista Ugo Ojetti.
Cesare, candidato alle elezioni del 1900, conduce una
campagna elettorale in cui spesso è lei a tenere roventi comizi nei caffè e
nelle piazze, malgrado la fresca maternità: il 10 maggio 1900, infatti, era
nato Roberto, il primogenito.
La sconfitta subita alle elezioni convince i coniugi
con i loro due bambini (Roberto e Amedeo) a trasferirsi nel 1902 a Milano,
città industriale, cosmopolita, in piena evoluzione, meta di intellettuali ed
artisti, sede “naturale” del Partito Socialista. L’apertura del Traforo del
Sempione darà vita all’Esposizione universale del 1906 che si terrà al Castello
Sforzesco. Margherita a Milano trova un ambiente favorevole ad esprimere la sua
cultura, e capace di soddisfare le sue ambizioni nelle associazioni femminili
come nel salotto di Filippo Turati ed Ania Kuliscioff. Sono le profughe russe -
Rosa Luxemburg, Angelica Balabanoff, la Kuliscioff - a divulgare la necessità
del cambiamento sociale che non può aver luogo senza un radicale mutamento del
ruolo femminile.
E se ne fanno portatrici nel dibattito socialista, in
tutti i convegni e congressi nazionali e internazionali, sottolineando la
priorità dell’educazione e della coscienza di sé, del lavoro e
dell’indipendenza economica. A inizio secolo l’inchiesta Ravà registrava, su
una popolazione di 33milioni, solo 224 donne laureate.
I due sessi, inoltre, conducevano esistenze separate:
escluse dal voto, dai pubblici impieghi e, se sposate, prive di molti diritti
riconosciuti ai maschi. Erano subordinate al padre o al marito, secondo le
prescrizioni del Codice Pisanello introdotto nel 1865.
La femminista convinta e la “salonnière”
Nel 1907 i diversi movimenti femminili concordano una
conferenza aperta per discutere i programmi comuni, e l’anno dopo è fondata
l’UDCI, divenuta poi UFCI. Sorgono, grazie anche all’arrivo delle profughe
ebree e protestanti che ampliano la discussione nell’ottica del femminismo
europeo, giornali, riviste, opuscoli che dibattono e contestano. A firmare le
inchieste, donne borghesi e aristocratiche, colte, prima tra tutte Anna
Kuliscioff, ebrea, giornalista, medico, conferenziera.
In questa
Milano piena di fermento Margherita apre il suo salotto alle persone che
contano ritagliandosi uno spazio nell’élite intellettuale. Cesare, da parte
sua, difende da avvocato - con successo - alcuni socialisti, tra cui lo
scrittore Umberto Notari, autore di Quelle signore, divenendo il braccio destro
di Turati. La notorietà di Cesare agevola a Margherita l’ingresso in altri
salotti, come quello dei Majno, frequentato da artisti e scrittori come Ada
Negri, che le dedica la sua prima raccolta di prose, Le solitarie. Ma il salotto che s’impone in Italia è quello Turati-Kuliscioff,
passaggio indispensabile per qualsiasi visibilità e attività. Ed è lì che
Margherita incontra Filippo Tommaso Marinetti, elegante, eccentrico,
irriverente. Nella sua “Casa Rossa”, aperta a poeti e artisti, ma anche a
“politici rivoluzionari”, Marinetti porta avanti una battaglia per svecchiare
l’arte. In queste frequentazioni Margherita conosce Carlo Carrà, Antonio
Sant’Elia, Umberto Boccioni, e…Benito Mussolini, “politico rivoluzionario”,
grande amico di Marinetti, che lo sostiene al punto da fondare insieme i Fasci
di Combattimento il 23 marzo 1919 nel Palazzo Castani.
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Congresso socialista del 1908 con Anna Kuliscioff |
“Una sorta di
fiuto mi spingeva verso le persone dotate” ha scritto Margherita nelle sue Memorie, dove leggiamo che incontrò
personaggi internazionali come Guglielmo Marconi, il presidente americano
Roosevelt, Albert Einstein. Per alcuni biografi, come Simona Urso, oltre ad
essere colta, ambiziosa e disinibita, sapeva promuoversi molto bene.
La giornalista e critica d’arte
Sta di fatto che riesce ad acquistare reputazione in
un campo fino ad allora prerogativa maschile: il giornalismo e l’arte. Tra il
1903-1907 in qualità di giornalista Margherita scrive sull’ “Avanti della
Domenica”, sul “Tempo”, sulla “Gazzetta di Venezia” su “La Patria”, su
“L’Unione femminile”. Mettendo a frutto
la sua concezione estetica modellata sul principio di sintesi di John Ruskin,
scrive dei réportage sulla Biennale di Venezia, e la recensione del 1903 per “La
Gazzetta degli Artisti” merita il III Premio quale critico d’arte.
Da questo momento è indicata come la prima donna
critico d’arte in Italia e in Europa e le piovono offerte da riviste e
quotidiani. La morte del padre Amedeo nel 1908 è preceduta dal suicidio della
sorella Lina.
Margherita otterrà dall’amico di una vita, Papa Pio X,
la benedizione per il padre, e, in sua memoria, finanzia gruppi socialisti
milanesi. La nuova eredità paterna le consente di acquistare un grande
appartamento nel Palazzo Serbelloni, in Corso Venezia, vicino alla dimora di
Marinetti, e l’anno successivo acquista pure una casa di campagna a Cavallasca,
vicino al lago di Como, non lontano dalla frontiera svizzera, che lei
denominerà “Il Soldo”, dal nome del vicino torrente. In quelle stanze, che
saranno il suo buen retiro, hanno
soggiornato molti letterati ed artisti, e Mussolini.
Il prestigio di Cesare, la nuova rete di amicizie, i
riconoscimenti quale critico d’arte inducono Margherita ad avocare a sé il
ruolo di protagonista della scena aprendo il suo raffinato “studio” ogni
mercoledì a scrittori, artisti, politici, tra cui Boccioni, Pirandello,
Bacchelli, Panzini, Piacentini, E. Duse e Marta Abba. Dopo la guerra saranno
ospiti fissi Sironi, Funi, Carpi, Arturo Martini, Medardo Rosso, Carrà.
La Musa degli artisti e l’incontro con Mussolini
Protagonista assoluta, Margherita definisce la sua
identità diventando musa, mecenate, ispiratrice, artefice del loro successo.
Nasce il movimento “Novecento”, e, con esso, un ruolo dominante per lei, cosa
del tutto nuova trattandosi di una donna. E che la distanzierà definitivamente
dal coro delle socialiste con cui si erano da tempo acuite tensioni e frizioni.
Infatti, in perfetta controtendenza rispetto alle militanti socialiste, lei
sostiene che non basta il voto a emancipare le donne, che devono anzitutto
sapere che la loro vita non consiste nel matrimonio e nella maternità, che non
hanno bisogno di essere tutelate, ma che piuttosto devono acquisire coscienza
di sé, delle proprie capacità personali. La volontà e i talenti, insomma, sono
viste come le uniche doti che possono garantire il successo e l’affermazione di
sé. Fanno rumore le sue inchieste sull’Agro romano su “La Voce”, che denunciano
la misera condizione dei lavoratori afflitti dalla malaria e l’inutilità dello
sbandierato diritto al voto se si è di fatto ignorati dal sistema politico.
Dal 1909 dirige la rubrica dell’arte sull’ “Avanti”,
organo di stampa del Partito Socialista. L’incontro con la storia avviene nel
1912, quando lei è critica d’arte per quel giornale, e Benito Mussolini, 29enne
dirigente del PSI, è in procinto di divenirne direttore. Benito vuole cambiare la cultura e la politica
italiana. Da direttore si riduce lo stipendio, muta abbigliamento e aspetto.
Non più barba incolta e abiti logori, ma mise scure e camicie candide. Ē
affiancato nella direzione da Angelica Balabanoff, profuga ebrea russa, ricca,
coltissima, impregnata di fede socialista, che poco prima gli aveva dedicato
molte energie per insegnarli il tedesco e istruirlo. L’oratoria travolgente del
giovane affascina uomini e donne, politici e non, impressiona l’avvocato
Sarfatti che ne parla alla moglie con toni entusiastici. Nel 1913, la
Balabanoff si dimette dal giornale per dissensi politici, sicché Benito ha
bisogno di un nuovo mentore e di una nuova guida intellettuale. I biografi
collocano la relazione amorosa con Margherita nel 1913, quando lui le offre,
oltre all’esclusiva dell’arte e delle tematiche femminili, la collaborazione
alla nuova rivista “Utopia” fondata il 22 novembre1913.
Il coinvolgimento di Margherita durante la prima Guerra
mondiale e la tragedia familiare
L’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a
Sarajevo il 28 giugno 1914 e lo scoppio della guerra registra, con la presenza
della Sarfatti a Parigi, la sua esperienza drammatica delle atrocità tedesche
contro la popolazione nel gennaio 1915. Il risultato è il pamphlet La milizia femminile in Francia in cui
esalta la capacità femminile di adattarsi e reagire, di organizzare
l’assistenza sanitaria e varie forme di solidarietà. Valuta la disponibilità
delle donne al sacrificio fino alla morte e la loro capacità di fondare una
comunità etico-politica diversa, rigenerata attraverso il lutto.
La conferenza tenuta a Milano sull’argomento e
l’appassionata commemorazione della crocerossina inglese Edith Cavell fucilata
in Belgio dai tedeschi per aver favorito la fuga di 200 prigionieri determinano
l’espulsione di Margherita dal Partito Socialista. Ma è la guerra a riservare
un lutto straziante alla famiglia Sarfatti: sull’altopiano di Asiago, il 28
gennaio 1918 suo figlio Roberto, non ancora diciottenne, volontario nel VI
reggimento Alpini, viene colpito in pieno viso nel corso di un assalto.
L’8 febbraio Mussolini pubblica un articolo in sua
memoria, ma lei sprofonda in una profonda depressione; scrive all’amico
Gabriele D’Annunzio, acceso interventista, per cercare un senso alla morte del
figlio. Ma, a differenza di Cesare che non si riprenderà più dal lutto portando
sempre con sé una foto e le ultime lettere di Roberto, Margherita trova
conforto nella poesia e nell’arte. Scrive i componimenti confluiti ne I vivi e l’ombra, ma il dolore resterà
dentro, malgrado il conferimento della medaglia d’oro, malgrado il monumento
funebre, opera dell’architetto Giuseppe Terragni, eretto sul luogo della
battaglia dopo il ritrovamento del corpo del giovane in una fossa comune nel
1935.
Arte, politica e passione amorosa
“Il popolo d’Italia”, fondato il 15 novembre 1915, è
un valido strumento per propagandare l’interventismo, ora propugnato da
Mussolini fino a poco prima pacifista; la gestione e le scelte editoriali del
nuovo quotidiano sono affidate a Margherita, e la sua rubrica “Cronache
d’arte”, oltre a diventare una tribuna di propaganda, fa di lei l’esponente di
punta dell’avanguardia in Italia e la portavoce del nazionalismo culturale.
Espulso dal Partito Socialista, Mussolini, alla fine del conflitto si insedia
con Rachele e figli a Milano, al Foro Bonaparte. Nell’autunno 1918 la rinnovata
vicinanza ai Sarfatti, dovuta anche alla perdita del figlio Roberto,
l’entusiasmo per la fine della guerra, la convinzione di un rinnovamento del
sistema Italia, gli incontri quotidiani in redazione (anche con Marinetti,
Carrà, Ungaretti, per progettare il nuovo futuro) trasformano il loro sodalizio
in un amore travolgente. L’ambizioso programma politico-sociale-culturale,
messo a punto dopo mesi di lavoro, sarebbe stato realizzato, secondo i piani,
dai Fasci di Combattimento.
Intanto Margherita continua ad affinare i modi e
l’abbigliamento di Mussolini, ad acculturarlo con testi di storia, letteratura,
economia, a sensibilizzarlo all’Arte e al Bello. Lo riceve nel suo salotto,
ormai cosmopolita, dove sono di casa amici d’infanzia come Guglielmo Marconi e
un direttore d’orchestra come Arturo Toscanini. Ē sempre lei, consapevole della
forza del mito, a ispirargli l’idea di rinnovare la gloria di Roma
reintroducendo i simboli e il cerimoniale dell’Impero romano, a cominciare
dalla nomenclatura (milizia, centurie, ecc). Gli archivi del barone von der
Schulenburg e degli eredi romani Caetani chiariscono il ruolo centrale di
Margherita nella Marcia su Roma. Tra l’estate e l’autunno del 1922 venne
pianificata nei dettagli la presa del potere, indispensabile per imporre il
ritorno all’ordine, il rispetto della disciplina e della gerarchia, per
riportare l’Italia al centro della civiltà europea. D’altronde, per tale
progetto politico-sociale i Sarfatti avevano contribuito largamente, sostenendo
tra l’altro le riviste del partito, e soddisfacendo i capricci di Mussolini
(come lezioni di scherma, il conseguimento del brevetto aereo). Margherita
raccoglie i capitali anche per mobilitare la Milizia e accelerare le manovre
per la conquista del potere. Sta di fatto che i Sarfatti ricevono le insegne
conferite solo a chi aveva partecipato alla Marcia.
La dea ex machina
A 39 anni, grazie a una Marcia a cui non aveva
realmente partecipato, Mussolini diventa Presidente del Consiglio. I primi mesi
di governo sono pieni di impegni per entrambi, e Margherita acquisisce
un’influenza ineguagliabile e un ruolo primario sia per la sua padronanza delle
lingue, sia per la fama di giornalista e critica d’arte di fama europea.
Mussolini ricorre a lei per opinioni e giudizi, le affida la gestione del
servizio stampa estera, e lei, con incredibile capacità affaristica, favorisce
il migliore offerente per propagandare il credo fascista, tenendo d’occhio
anche il lato economico, come il pagamento degli articoli firmati per i
giornali americani da Mussolini.
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La Sarfatti con Mussolini |
Negli anni Venti diviene direttrice editoriale di
“Gerarchia”, la rivista di teoria politica fondata da Mussolini. La sua
adesione al fascismo — sancita dalla sottoscrizione al “Manifesto” del 1925 — è
la causa dell’allontanamento di alcuni artisti dalla Sarfatti, contrari al suo
progetto di contribuire alla nascita di una cosiddetta “arte fascista”. Ed è
anche a causa della sua predilezione per “Novecento”, la sua creatura, che i
segnali di crisi con Mussolini diventano sempre più frequenti, fino a
peggiorare definitivamente il rapporto.
La passione da
tempo era spenta, l’astro della “Gran Signora del Fascismo” andava tramontando
e sarebbe sorto di lì a poco quello della giovanissima Claretta Petacci. Ma a
contribuire, a partire dagli anni Trenta, in maniera decisiva alla sua
progressiva emarginazione sociale e culturale, voluta da Mussolini e
furiosamente richiesta da Farinacci, furono i suoi nemici dichiarati: Rachele,
Galeazzo Ciano, Edda Mussolini, e una pletora di maschi ostili, giornalisti,
critici, politici ed artisti.
La discesa
Rimasta vedova nel 1924, Margherita si era impegnata
nella stesura di una biografia di Mussolini, dapprima edita in Inghilterra con
il titolo The life of Benito Mussolini,
poi (1926) in Italia con il titolo Dux.
Il libro ottiene un incredibile successo, con 17 edizioni e con la traduzione
in 18 lingue, tra cui turco e giapponese, ma nel 1931 lei viene esclusa dagli
incarichi all’estero per volere di Mussolini. Nel ’34 Galeazzo Ciano, genero
del Duce, appena rientrato dalla Cina per reggere il Ministero per la stampa e
la propaganda, le vieta qualsiasi tipo di pubblicazione e ritira dalla stampa Dux.
«Dalla proclamazione dell’Impero fascista, 9 maggio
1936 — ha scritto Angela Frattolillo nel suo saggio del 2017, p.145/46 —
Margherita appare smarrita e confusa con i suoi disordinati viaggi in Svizzera,
a Parigi, a Istanbul anche per alcune conferenze sull’arte italiana […]. Gli
ultimi incontri avevano rivelato un Benito esaltato, ubriacato di potere e di
militarismo, senza più contatti con il mondo e con la realtà […]. Non era riuscita più a parlargli come una
volta, non era più suo discepolo perché sotto la perniciosa influenza di Edda e
Galeazzo, di Farinacci e Starace.»
Il dilagante antisemitismo e l’avvicinarsi delle leggi
razziali (1938) convincono la Sarfatti ad allontanarsi dall’Italia. Già dal settembre ’36 la rivista “Regime
Fascista” andava pubblicando articoli contro gli ebrei, anche in vista della
visita di Ciano in Germania. A lei
arrivano segnali contrastanti: da una parte qualche incarico all’estero,
dall’altra circolano voci su suoi presunti profitti — enormi — accumulati
grazie a speculazioni su aree edificabili intorno all’Ara Pacis.
Alla pubblicazione del “Manifesto degli scienziati
razzisti” (14 luglio 1938) segue una serie di provvedimenti antisemiti, prezzo
politico pagato dal Duce per la sua alleanza con Hitler. Benché convertita al
cristianesimo insieme ai figli già sul finire degli anni Venti, il rapido
licenziamento del secondo figlio Amedeo, direttore della banca commerciale di
Torino, perché ebreo, la convince a cercare riparo in Uruguay.
La terza figlia di Margherita, Fiammetta, resta a Roma
con il marito, conte Livio Gaetani, deputato e quindi impossibilitato a partire
per i suoi molteplici, importanti incarichi, e con i suoi due figlioletti, poi
nascosti sotto falso nome in un orfanotrofio.
Di fatto, Fiammetta si salverà dai rastrellamenti nazisti nel settembre
’43 ricoverandosi come paziente nella clinica di un amico medico. Margherita
parte da Chiasso per Parigi, dove aspetta a lungo l’arrivo del figlio Amedeo,
che spera in un lavoro grazie alle amicizie materne. Ē controllata dalla
polizia politica di Mussolini, che con rabbia ha appreso della sua fuga e che
cerca di convincerla a tornare, facendo leva persino sulla figlia Fiammetta,
spedita appositamente nella capitale francese.
L’espatrio
Margherita non cade nella trappola e si imbarca da
Barcellona alla volta dell’Uruguay. Soggiorna in Sud America fino al 18 luglio
1947, vivendo da giornalista, seguendo con apprensione la nefasta politica
mussoliniana e la tragedia dell’incendio europeo. Si tiene ai margini, con toni
smorzati anche sulla stampa dove scrive, per evitare ritorsioni contro i suoi
familiari rimasti in Italia. E in
Argentina elabora un lungo memoriale, My
Fault: Mussolini as I knew him, in cui ripensa il complesso periodo storico
vissuto e sofferto. My Fault «nasce — ha
osservato Angela Frattolillo, op.cit. p.156 — da
un’autocritica lucida, spietata, e da una macerazione interiore che matura la
demitizzazione del Dux e la coscienza della propria oggettiva responsabilità
nell’aver creduto in un uomo fallace e nell’averne costruito il mito, sia
mediante l’opera letteraria che con un’instancabile azione di propaganda
politica internazionale».
Il ritorno e la fine
Rientrata in Italia (18 luglio 1947) anche grazie al
decreto di amnistia firmato dal Capo del Governo Alcide De Gasperi che poneva
fine all’epurazione annunciata, Margherita si ritira in provincia di Como, nell’amata
dimora “Il Soldo”, autentica galleria di opere d’arte, tra le tele dei suoi
artisti prediletti.
Nel ‘55
pubblica la sua ultima opera, Acqua
Passata, uno scritto deludente per chi si aspettava scandali e curiosità
inedite. Invece racconta della fanciullezza veneziana, delle care figure di
famiglia, e la parola “fascismo” compare una sola volta. Muore, ignorata, il 29
ottobre 1961.
Ē sepolta nel cimitero di Cavallasca, sotto la copia
della scultura di Adolf Wildt da lei acquistata nel 1919. Ē un volto femminile
di profilo che guarda verso “Il Soldo”. La scultura era stata intitolata “La
Vittoria” nella sua recensione su “Il popolo d’Italia”: Un volto senza corpo
tutto risolto nella spinta ideale e nel grido.
«Dopo che Mussolini venne giustiziato, gli italiani — ha
scritto Andrea Carancini — volevano dimenticare l’altra donna del Duce: i
fascisti perché era ebrea, e gli antifascisti perché lei era fascista; per la
famiglia, Margherita era un imbarazzante fardello storico. Il risultato della
rimozione collettiva è stato il colpo di spugna sulla vita e il ruolo centrale
che lei ha avuto nella storia e nell’arte del nostro Paese. I suoi discendenti,
tra cui la nipote Ippolita Gaetani che cura l’archivio di Margherita,
raccontano della sparizione delle 1272 lettere che Mussolini le scrisse, e che
non le hanno mai sentito parlare dei ruggenti anni in cui condivise dottrina e
letto con Mussolini. La nonna recitava volentieri Dante, Shakespeare, E. A.
Poe, e faceva parole crociate sul “Figaro Littéraire».
Il movimento artistico “Novecento” fondato da Margherita
Note tratte dal volume di Angela Frattolillo I ruoli della donna nella Grande Guerra,
Fano, 2015, pp. 68-71
“Il percorso umano e intellettuale di Margherita
Grassini Sarfatti è scandito da un’insaziabile ricerca e da una indomita
passione per l’arte che le ha fatto frequentare tutti i cenacoli, le botteghe,
le gallerie, le mostre italiane ed europee, le ha fatto individuare nel tempo
l’originalità e la genialità di Umberto Boccioni, Medardo Rosso, Arturo Tosi,
Leonardo Dudreville, Adolf Wildt, Carlo Carrà, Achille Funi, Mario Sironi,
Anselmo Bucci, Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi e Giorgio de
Chirico. Diventando loro amica, ammiratrice e generosa mecenate, ne ha
sollecitato l’evoluzione artistica adoperando il suo prestigio personale e, in
seguito, il favore mussoliniano per divulgarne la creatività.
“Gruppo del Novecento” è il movimento che Margherita
costituisce nel 1922 con Bucci, Funi, Dudreville, Marussig, Malerba, Oppi,
Sironi per “continuare la tradizione gloriosa dei secoli dell’arte italiana che
si arresta al ‘700”.
La prima mostra si tiene alla Galleria di Lino Pesaro
a Milano, il 26 marzo 1923. Dalla defezione di Ubaldo Oppi alla biennale
del’24, la Sarfatti modifica lo statuto rieditando “Novecento Italiano”,
piattaforma culturale del progetto politico mussoliniano ed espressione
dell’indiscusso protagonismo di Margherita nel mondo dell’arte del XX secolo.
Ella ha attivato tutte le strutture pubbliche di Venezia (Biennale), Milano (Triennale),
Roma (Quadriennale) ed il suo personale prestigio internazionale per dare agli
artisti la possibilità di esporre e vendere le loro opere a musei ed
istituzioni. La sua intensa e significativa attività critica si esprime nelle
migliaia di articoli scritti per varie testate giornalistiche e raccolte in La
fiaccola accesa; nelle splendide monografie di Daniele Renzoni e di Achille
Funi; nei testi vibranti di Segni, colori e luci.
Margherita
Grassini Sarfatti ha il merito di aver affrontato per la prima volta nella
Storia dell’Arte, sistematicamente, i molti aspetti di cui si compone il lavoro
di un moderno critico d’arte: individuazione degli artisti del suo tempo;
definizione del loro stile con scritti, opuscoli, monografie; promozione delle
loro aggregazioni; mostre e manifestazioni per favorirne il cursus honorum. La
sua tensione visionaria nel voler ristabilire il primato dell’arte in un’Italia
nuova è nella Storia della pittura moderna, in cui, nella diversa declinazione
formale degli artisti, coglie il comune denominatore dell’idealismo, platonismo
e pitagorismo, tutti tesi all’aspirazione all’eternità, al desiderio di
immergere le cose “nell’oceano dell’infinito.”
RitaFrattolillo©2018 tutti i diritti riservati.
Bibliografia e fonti:
Ferrario Rachele, Margherita Sarfatti .La regina dell’arte nell’Italia fascista,
Mondadori, 2015
Festorazzi Roberto, Margherita Sarfatti, la donna che inventò
Mussolini, Angelo Colla, Vicenza, 2010
Frattolillo Angela, Margherita Grassini Sarfatti ebrea, socialista,
prima donna critico d’Arte nell’Italia fascista, Fano 2015
Frattolillo Angela, I ruoli della donna nella grande guerra,
Fano 2015
Frattolillo Angela, Margherita Grassini Sarfatti, Protagonista
culturale del primo Novecento, Aras ed., Fano 2017
Urso Simona, Margherita Sarfatti. Dal mito del Dux al mito americano, Marsilio,
2003
Questa è storia bellezza! Quando si dice che dietro ad un uomo di successo c’è sempre una donna… La Sarfatti è davvero un personaggio eccezionale. Brava Rita, hai saputo tratteggiare la personalità e la grande preparazione culturale di questa donna battagliera ma che si è innamorata dell’uomo sbagliato. Un lavoro davvero approfondito che ti fa capire sia il lato umano delle persone ma anche il loro percorso storico.
RispondiElimina
RispondiEliminaChe bella biografia! Oggi pomeriggio ho letto un pezzo di storia, anzi una pagina ben scritta e ricca di informazioni e forte carattere emotivo. Rita, mi è piaciuto davvero tanto il modo in cui hai descritto la vita di una donna che ha lasciato un segno nel suo tempo ma non solo! Margherita Grassini Sarfatti ha vissuto momenti amari, altri dolorosi, altri ancora di forte impatto con il mondo dell'arte a scena aperta. Mussolini c'è stato e lei ne ha subito il fascino, ravvedendosi poi. Grazie per averci donato queste belle pagine.
Ē affiancato nella direzione da Angelica Balabanoff, profuga ebrea russa, ricca, coltissima, impregnata di fede socialista
RispondiEliminaQualsiasi https://streamingcommunity.casa/animazione/ film. Ma la saggezza sopporterà il bisogno. Cosa dovremmo fare se non sopportare?
RispondiEliminaChi sa cantare deve cantare.
Non servono la parola più ricca.