Due giornaliste, con alle spalle 20 anni di ricerche biografiche, hanno deciso di concentrarsi sul variegato mondo femminile, così poco studiato fino a non molto tempo fa e che la storia ha spesso relegato nel dimenticatoio...

domenica 9 marzo 2014

Francesca CORSI

di Barbara Bertolini
(Port Arthur, Texas, USA 1934 – New York 2003), arpista


La storia dell’arpista Francesca Corsi ne racchiude, in effetti, due: la sua e quella di suo padre Michele, emigrato in America dal Molise: due storie molto interessanti. Ed è di queste che  voglio raccontarvi.
Michele, padre di Francesca, nasce a Casacalenda all’inizio del ‘900 ed emigra con la propria famiglia in America all’età di 13 anni. L’attraversata dell’Atlantico lascia un segno indelebile nel giovane molisano: anche lui vuole diventare navigante. E per realizzare questo sogno lavora e studia duro. Riesce, infatti, a riscattare la sua condizione di miseria diventando capitano di una nave. Durante la Seconda guerra mondiale la sua imbarcazione è silurata dai giapponesi nel Pacifico del Sud. Riesce a sopravvivere per dodici giorni  aggrappato ad un rottame prima di essere tratto in salvo. L’unica cosa che gli rimane in mano del suo bastimento, prima di finire in acqua, è il sestante. Oggetto simbolo del suo riscatto sociale e che sarà poi il portafortuna di questo marinaio dal carattere gioviale e “sciupafemmine”,  che porterà sempre con sé, anche nella tomba (lo chiede espressamente nel testamento). 


Alla fine della guerra riprende la navigazione per conto della Texaco ed è tra un porto e l’altro che è informato, nel 1934, della nascita di Francesca. La moglie, originaria della Sicilia, vive con la bimba a Port Arthur in Texas. Purtroppo il loro matrimonio non sopravvive alla dura legge del mare. Infatti, Michele non ci sta mai quando serve, e in più le sue tendenze più che libertine fanno il resto. I due divorziano ed è Francesca a pagare le conseguenze di questa rottura. Per lei il papà era un mito che in cinque minuti sapeva farsi perdonare delle sue lunghe assenze. Lei, invece, non perdonerà mai ai genitori la separazione. Michele Corsi, dopo questa vicenda familiare, non si risposerà più e passerà tutta la sua vita nei mari del mondo.

Gli ultimi anni da marinaio li trascorrerà a New Orleans. Racconta il cugino, Pietro Corsi, scrittore italo-americano, parlando di quei giorni: «Quando lo visitai, nell'ottobre del 1963, mi fece scoprire una New Orleans che non avrei mai potuto conoscere da solo. Bourbon Street era il suo quartiere preferito, popolato da cocktail lounges e ristoranti di moda, specie francesi, e night club dove si respirava aria di jazz ad ogni ora del giorno e della notte. Le hostess di quei posti lo conoscevano bene, Michael di qua, Michael di là. Lo vezzeggiavano come un cliente prediletto o come il vecchietto che poteva essere loro padre ma che loro amavano, se non altro perché le trattava con generosità e rispetto. Scoprii, con lui, le raffinatezze della cucina creola della Luisiana i cui sapori ed odori avevano il potere di entrare nel corpo per restarvi, ospiti inattesi, per giornate intere».   
Alla pensione, Michele Corsi ritornerà definitivamente a Casacalenda nel 1965, solo, e vi morirà nel 1972, dopo aver cercato, senza successo, di fare il vignaiolo.

Intanto Francesca cresce con la musica nel sangue. Sembra, infatti, che un antenato della famiglia Corsi sia quel Jacopo che aprì la via all’opera moderna (parole e musica).

Per assecondare le sue inclinazioni, viene iscritta alla Julliard School of Music, la più antica degli Stati Uniti e studia, con successo, sotto la guida del grande arpista, organista e compositore Marcel Grandjany, parigino d'origine, conseguendo il Master in musica. Con il Maestro s’instaura un rapporto fatto di stima. Infatti, la discepola, per i suoi concerti personali, spesso usa le musiche composte  da Grandjany, in particolare : "Fantasie sur un thème de Haydn", "Prélude pour Harpe", "Dans la forêt du charme".

Il suo primo ingaggio arriva dalla famosa Big Band di Ted Auletta che aveva bisogno di un’arpista in gamba per la sua orchestra. Partecipa, quindi, a diversi musicals di Broadway, tra i quali la produzione originale di "She loves me", su libretto di Joe Masteroff e musica di Jerry Brock, "The roar of the greasepaint", parole e musica di Leslie Bricusse e Anthony Newly, "Nick and Nora" con Joanna Cleason, la versione teatrale di "The red shoes", tratto da una favola di Hans Christian Andersen, che le permettono di farsi conoscere. Infatti,  i grandi nomi della musica newyorkese, ogni volta che hanno bisogno di un’arpista, fanno ricorso  a lei.

E’ chiamata infine alla New York City Opera dal direttore d’orchestra Julius Rudel, quando questi ne diventa direttore principale divenendo, con il tempo, la “Principal Harpist” di quell’orchestra, girando tutta l’America sia come solista che come arpista sinfonica.

Come orchestrale dell'Opera, infatti,  nel 1981, partecipa anche al "Live Telecast from the Lincoln Center" con Pavarotti, Sutherland e Horne. Ha spesso accompagnato la soprano Beverly Sills, ma anche il cantante Norman Treigle, lo stesso Pavarotti, Sherrill Milnes, Placido Domingo e tanti altri. Da allora, infatti, la sua arpa, in 35 anni, ha accompagnato tutti i grandi che sono passati per la New York City Opera.  

La musicista, raggiunta ormai l’età della pensione, morti i genitori, aveva scelto di continuare a vivere nella Grande Mela. Ed è lì che è morta in un torrido giorno di agosto.  Il suo cuore sembra non aver retto allo spavento causato dal black-out vissuto nella sua città di adozione, in quella infuocata estate del 2003,  e durato a lungo. L’attacco degli estremisti islamici alle Torri Gemelle dell’anno prima l’aveva profondamente scossa e, il buio, calato all’improvviso su New York,  senza ricevere per tante ore nessuna informazione, le ha probabilmente provocato un grandissimo stato d’ansia, facendo cedere il suo cuore già debole. Il corpo della musicista è stato ritrovato dopo due settimane dal decesso.

La Corsi, che aveva  69  anni e non era sposata, era una donna schiva che viveva per la scena e il pubblico. Ma l’arpista non è stata vittima della solitudine, come si potrebbe pensare ma, pittosto, vittima del suo pudore. Infatti, è stato questo ad impedirle di allarmare i parenti e i vicini sul suo reale stato di salute. Lei, che ha dato tanto agli altri, mai e poi mai avrebbe osato disturbare qualcuno, foss’anche il suo portiere!

L’elegante signora della musica, così come l’avevano definita  per il suo modo sempre impeccabile di presentarsi, poteva, infatti, contare anche sul portiere del suo stabile, che l’aveva salutata al suo rientro la sera prima del suo decesso e che è stato l’ultimo a vederla viva.
Per onorare la sua prima arpista, la New York City Opera  il 7 ottobre 2003 ha tenuto una cerimonia commemorativa sulla piazza del Lincoln Center di Manhattan. Quasi tutti i più grandi nomi di questa istituzione erano presenti:  David Pitcomb, amministratore della New York City Opera, Paul Kellogg, il Direttore generale, George Manahan, Direttore musicale, James A. Biddlecome, Direttore della North Jersey Philarmonic della quale Francesca Corsi è stata benefattrice e che una settimana dopo, il giorno 12, ha voluto dedicarle la première di un suo concerto (Ouverture di Romeo e Giulietta di Peter Ilyich Tchaikovsky, seguita dal Piano Concerto N°. 2 di Serge Rachmaninov), Henry Fanelli e Ray Papay-Corsi (anche lui originario di Casacalenda).

Secondo Pietro Corsi, presente alla cerimonia come relatore, e che ha voluto ricordare  le origini della famiglia Corsi di Casacalenda, si sono stretti intorno alla loro amica e collega  «la maggior parte dei componenti della New York City Opera,  molti di essi accompagnati dalle loro famiglie che la conoscevano da oltre quarant’anni e che hanno scelto di ricordarla per quella che era sempre stata: la grande "signora" dell’Opera newyorchese, sempre impeccabile ed elegante, ingioiellata, l'unica donna che poteva permettersi il lusso di suonare l'arpa con tacchi alti fino alla fine dei suoi giorni. Era sempre la prima ad arrivare sia per le prove che per i concerti: si attaccava all'arpa per mettere a tono ogni singola corda e non era soddisfatta se non dopo averle riprovate tutte. I suoi colleghi dicevano che era un’ossessione: lei li correggeva, pregandoli di usare il termine “perfezione”!».
Barbara Bertolini,   © 2014 Tutti i diritti riservati

Fonti:
Materiale fornito dal cugino Pietro Corsi, scrittore italo-americano.

Sul web:

J J Johnson, l’orchestra Brass, 1997

Associated Muicians of Greater New York

New York Times, 7 ottobre 2003


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