Due giornaliste, con alle spalle 20 anni di ricerche biografiche, hanno deciso di concentrarsi sul variegato mondo femminile, così poco studiato fino a non molto tempo fa e che la storia ha spesso relegato nel dimenticatoio...

martedì 22 dicembre 2015

Lavinia FONTANA


di  Rita Frattolillo

(Bologna 24.08.1552 – Roma 11.08.1614), pittrice


E’ necessario scorrere molte biografie di donne artiste – italiane o straniere, del presente o del passato - prima di scovarne una che, come Lavinia Fontana,  abbia ricevuto riconoscimenti e onori quando era ancora  viva.
 Oltre al suo indiscutibile talento, Lavinia ebbe dalla sua parte una congiuntura  particolarmente favorevole: essere figlia d’arte, e bolognese come lo era Ugo Buoncompagni, che sarà eletto papa con il nome di Gregorio XIII.
Figlia di Antonia dé Bernardis e del pittore manierista Prospero, la piccola Lavinia si  trova, come altri figli d’arte, a seguire una strada già segnata, essendo cresciuta nella bottega del padre. Lì si forma, venendo presto in contatto con committenti illustri e con gli artisti che frequentano la bottega.
Papà Prospero, che aveva lavorato con Giorgio Vasari a Palazzo Vecchio a Firenze, non tardò molto a comprendere l’inclinazione della figlia, che armeggiava con pennelli e colori con gran naturalezza. Sarà lui il suo primo maestro, e poi si prodigherà nelle vesti di manager per trarre il massimo profitto dal talento della figlia. Persino quando Lavinia andrà sposa, farà in modo di tenerla, con la numerosa prole, accanto a sé : era lei la principale fonte di sostentamento per tutta la famiglia.
La ragazza  crebbe “timorata di Dio”, abituata a rispettare le norme morali e sociali dettate dalla propaganda tridentina; ma questo non le impedì di fare tesoro delle esperienze pittoriche di quegli anni, da quelle emiliane (il Parmigianino) a quelle venete (il Tintoretto,  il Veronese), lombarde (Sofonisba Anguissola) e toscane.
Conobbe il clan dei Carracci (Ludovico, Agostino, Annibale), di poco più giovani di lei, e il loro stile non mancò di influenzare la sua maniera  di dipingere.
Il primo lavoro di cui si ha notizia cronologica risale al 1576, ed  è a soggetto religioso: “Cristo con i simboli della Passione”; si tratta di un’opera conservata al Museum of art di El Paso (Texas).
Il primo autoritratto, dell’anno successivo (custodito  all’Accademia di San Luca, Roma), è  legato alle nozze di Lavinia con un altro pittore, Giovan Paolo Zappi, figlio di Saverio, ricco mercante di Imola.
 Il quadretto, rimasto a lungo nella casa del suocero, è un documento molto importante in quanto l’immagine pittorica della ragazza ripropone con chiarezza il topos della donna artista, e ci fa comprendere la coscienza di sé che animava un’artista dell’epoca.
Con quell’autoritratto Lavinia compie un’operazione di grande sottigliezza,  perché, senza discostarsi troppo dal “modello” incentrato sul mito delle artiste antiche che aveva inventato  Sofonisba Anguissola (Cremona,1535-Palermo,1625), figura di primo piano delle corti rinascimentali  essendo artista completa (pittrice, letterata e musicista), lei trova la maniera di esaltare le sue smaglianti prerogative di donna virtuosa, bene educata e di onorato stato sociale.
Ma perché, in quel periodo storico, era tanto importante “trasmettere” in qualunque occasione le virtù etiche femminili, la buona condotta morale e sociale? E qui è necessario fare almeno un accenno per capire il contesto in cui si viveva e si operava.
Era il 1524 quando san Gaetano di Thiene  e il futuro papa Paolo IV, Gian Pietro Carafa vescovo di Chieti (Teate in latino),  diedero vita a un nuovo Ordine, quello dei Teatini, allo scopo di rispondere all’esigenza di rinnovamento  che il mondo cattolico avvertiva già prima che fosse indetto il Concilio di Trento.
Alla metà del 1550 si era verificato un vero terremoto nella Chiesa, generato dalla Riforma protestante.
 La risposta del papa di Roma alle dottrine di Calvino e di Lutero fu la Controriforma.
Il Concilio di Trento, indetto per conciliare le varie posizioni e soddisfare il bisogno di rinnovamento e purificazione del clero che il popolo percepiva, di fatto finì col ribadire solennemente il tradizionale ordinamento gerarchico della Chiesa, culminando nella indiscussa ed assoluta autorità del pontefice.
La vastità del piano di rinnovamento strutturale concepito a Trento fece sì che l’opera riformatrice richiedesse un secolo e più.
 La punta di diamante  espressione di questo attivismo riformatore fu la Compagnia di Gesù, che operò di qua e di là dell’Europa.
Tuttavia la restaurazione messa in atto, se da una parte fu repressiva - sfociando nel  temibile Tribunale dell’Inquisizione  - dall’altra risvegliò le energie del mondo cattolico impegnandolo a fondo nella difesa della fede della Chiesa.
Tale era il clima che si respirava all’epoca, quindi era necessario dimostrare  rispetto assoluto verso le norme morali generate dagli Atti del Concilio.
E Prospero Fontana sapeva bene che per evitare le maldicenze e i pettegolezzi su quella figlia che andava lavorando come un uomo per tanti committenti diversi, c’era bisogno di un marito che le avrebbe dato l’onorevole stato di donna sposata. Giovan Paolo fu scelto soprattutto come strumento valido per aiutare la carriera della futura moglie, la cui capacità di guadagno – d’altronde  ̶  aveva fatto gola anche alla famiglia di lui.
Amabile quanto determinata e piena di energie quasi sovrumane, se si considera che partorì ben undici figli, Lavinia, con la sua esistenza, dimostrò di aver costruito un legame familiare stabile, sfatando così lo stereotipo dell’artista “maledetto”, specie se donna.
Gestì tranquillamente carriera, famiglia e arte, anzi pare proprio che dovesse mantenere anche il marito, il quale come pittore aveva scarso talento; insomma Lavinia dovette rimboccarsi le maniche per mantenere la famiglia sempre più numerosa. Al marito pittore affidò il compito di rifinire i lussuosi abiti indossati dalle persone che lei ritraeva, aggiungendo i pizzi, i bottoni, o i gioielli. Un “aiuto”  talmente risaputo nell’ambiente, che quasi un secolo dopo ce n’era ancora memoria, al punto che  un noto biografo  degli artisti bolognesi, Carlo Cesare Malvasia, apostrofava così il buon Giovan Paolo nel suo volume Felsina Pittrice (1678):
«[…] si contentasse almeno di fare il sartore, già che il cielo non lo voleva pittore.»
Lui in effetti fungeva da intermediario, da notaio, stipulava i contratti della moglie, seguiva le consegne, e così via.
Ben presto  si sparge la voce della bravura di Lavinia come ritrattista; per l’accuratezza dei particolari nell’abbigliamento e nell’acconciatura, per il tratto sicuro e i colori morbidi, è preferita specialmente dalle gentildonne,  prima tra tutte Costanza Sforza Boncompagni, parente di papa Gregorio XIII. Le dame si mettono in fila per farle dipingere anzitutto i ritratti dei loro bimbi, ma poi anch’esse, i loro mariti, tutta la nobiltà gareggia per ottenere un ritratto di sua mano.
Ritratto di Bianca degi Utili Maselli e dei suoi figli
 Famosi, in particolare, sono il ritratto dello storico Carlo Sigonio, del cosiddetto senatore Orsini, di Alfonso Lorenzo Strozzi (1579), nei quali la pittrice  sperimenta le soluzioni adottate da un altro pittore, di lei più anziano, Bartolomeo Passerotti, per i gesti e le pose nello spazio.
Se Lavinia  si  distingue soprattutto nella ritrattistica, non si fossilizza certo in quel genere, per cui, spinta da interessi pittorici diversificati, si cimenta anche con i soggetti mitologici e biblici (“Giuditta e Oloferne”, “Salomone e la Regina di Saba”), spaziando con grande disinvoltura da un genere all’altro, e assorbendo come una spugna il meglio delle tendenze artistiche del momento.
Poco dopo di lei, brilleranno gli astri di Artemisia Gentileschi nella Roma papalina, di Isabella Sirani, bolognese come Lavinia e considerata sua erede artistica, e della palermitana Rosalia Novelli:
 il Cinque-Seicento sembra un periodo di felice creatività e di larghi  riconoscimenti per le donne versate nelle arti, mentre nella realtà queste personalità hanno saputo cogliere tutte le poche occasioni che potevano avere per farsi valere, ottenendo – va detto ̶  risultati eccezionali.
In più,  Lavinia si circondò di un’aura leggendaria in quanto donna “pittora”, riuscendo ad allontanare da sé il sospetto di dover lavorare per necessità, e  di essere una che invece dipingeva solo per inclinazione: una vera strategia di marketing messa in atto  da lei e dalla sua cerchia, come testimonia la lettera inviata dal frate bolognese Tommaso Barbieri alla duchessa Bianca Maria Cappello, seconda moglie di Francesco I dé Medici.
 In quella lettera è espresso il concetto della donna artista, come lo era Sofonisba Anguissola.
Sta di fatto che Lavinia si guadagnò una fama straordinaria, e fu anche molto corteggiata; tra i suoi spasimanti ebbe nientemeno che l’ambasciatore di Persia.
Per la sua amabilità fu richiesta spesso come madrina dalle gentildonne bolognesi e poi, dopo il trasferimento a Roma, dalla nobiltà romana.
Nel 1579 affronta il tema del paesaggio nel “S. Francesco che riceve le stimmate”; questa tela rivela l’attenzione di Lavinia ai fiamminghi per quanto riguarda l’ornato vegetale, mentre l’atmosfera misteriosa rimanda ai versi di Torquato Tasso e alla sua “Gerusalemme liberata” a cui  non era rimasta insensibile.
San Francesco riceve le stimmate
Grazie al suocero, che era un membro ascoltato del Consiglio comunale di Imola, le viene commissionata nel 1584 la Pala d’altare “L’Assunta di Ponte Santo”.
 A tale proposito merita di essere sottolineato che è  stata la prima donna, nell’Europa cattolica, ad affrontare la Pala d’altare.
Va aggiunto, per la precisione, che non era l’unica pittrice, in quel periodo, ad avere committenze per temi sacri, e infatti nel bergamasco un’altra figlia d’arte, Chiara Salmeggia, figlia di Enea,  dipingeva per le chiese della zona  Madonne e sante, ma certamente realizzare una Pala d’altare richiedeva un impegno e un’abilità particolari, e Lavinia si sentiva forte anche perché poteva contare sull’aiuto paterno.
Ma come rappresentare l’Immacolata, di cui era stata questione durante i lavori del Concilio di Trento?
 Lavinia allora si concentra sulle discussioni mariologiche in atto, consulta il “Discorso” di G. Paleotti  (1582) riguardante il modello di “artefice cristiano” e riesce a proporre una delle prime iconografie di Immacolata post-tridentina, conciliando il misticismo tardomichelangiolesco con la grazia di Correggio e l’attenta descrizione delle “cose di natura”.
In Spagna, qualche anno dopo, lo stesso compito sarà affidato al pittore sivigliano Esteban Murillo, che dipingerà numerose Madonne Immacolate. Sarà questa effigie a diventare tanto popolare da essere tramandata fino ad oggi sui comuni “santini”.
 La  fama di Lavinia intanto era giunta fino alla Corte spagnola, se nel 1589 dal Monastero reale dell’Escorial (Madrid) le arrivò la prestigiosa commessa di una “Sacra Famiglia”, opera nella quale la pittrice non dimenticò di inserire i simboli religiosi cari ai gesuiti, Ordine di fresca istituzione.
Apparizione di Gesù alla Maddalena
Seguirono altre Pale d’altare, che rivelano suggestioni stilistiche vicine al Lombardo-Veneto e ai neo-correggeschi.
L’ultimo anno del secolo la vide impegnata al lavoro sulla Pala “Visione di S. Giacinto”, un santo appena canonizzato, il cui culto era fortemente sostenuto dai domenicani.
Già il bozzetto della Pala era stato lodato dal Giambologna, artista molto ascoltato, e l’opera, una volta terminata, le aprì definitivamente le porte di Roma, tanto che Lavinia  vi si stabilì (1603).
Intanto, a Gregorio XIII, morto nel 1585, era successo il papa Paolo V (Camillo Borghese), che da cardinale era stato ambasciatore papale a Bologna, e aveva battezzato l’ultimo figlio di Lavinia.
 Grazie anche alla protezione del papa, fu tale il profluvio delle commesse, sia da parte della nobiltà romana che delle rappresentanze diplomatiche, che Lavinia venne soprannominata “Pittrice Pontificia”.
 Suo figlio Prospero ebbe il grande privilegio di essere nominato dal papa canonico della basilica di S. Giovanni in Laterano.
Assieme alle committenze di rango (il re di Spagna Filippo II, la corte papale, la nobiltà del tempo nonché   il predicatore più influente del tempo, fra Francesco Panigarola), si moltiplicavano  pure i riconoscimenti: è stata la prima donna ad essere eletta all’Accademia di S. Luca, un vero record.
Nel 1611 venne persino coniata una medaglia celebrativa in suo onore.
 Lavoratrice instancabile, Lavinia fu oberata di lavoro fino alla sua fine, realizzando oltre una dozzina di Pale d’altare e un centinaio di opere. Di esse solo alcune non si sono perdute e sono custodite nei maggiori musei soprattutto europei.
 Il suo testamento artistico,  “Minerva in atto di abbigliarsi” (Galleria Borghese, Roma),  eseguito per il potente cardinale e grande mecenate Scipione Borghese, è del 1613.
 Lavinia, che per tutta la vita si era dedicata soprattutto alle opere sacre, chiude la sua produzione pittorica con un dipinto “pagano” in cui alla dea della sapienza, completamente nuda, presta le sue stesse sembianze, quasi  proiezione nostalgica della giovinezza della pittrice, ormai lontana.
 L’anno successivo, alla sua morte, Lavinia  ricevette l’ultimo, grande onore, quello di essere sepolta accanto al Pantheon, nella chiesa di S. Maria sopra Minerva.
Lasciava un patrimonio immenso, tanto che il figlio Flaminio si firmò per anni, dopo la morte della madre, con il  cognome materno.
Rita Frattolillo©2016 Tutti i diritti riservati
Bibliografia:
Alberto Macchi, Carlo Dolci e il Cristo Ecce Homo, Colosseo Edit., Roma, 2000;
Elisabetta Morici, Una donna all’Accademia di San Luca: Lavinia Fontana (articolo del 27.07.2012) su Arte e Arti;
Vera Fortunati, voce “Lavinia Fontana”, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 48, 1997;

Nessun commento:

Posta un commento