di
Barbara Bertolini
(? tra il1191 e il 1201 - ? dopo il 1240), feudataria
Giuditta è ormai prigioniera nel maniero di Roccamandolfi da
molti mesi. Un burrone profondo la separa dal mondo. Si è barricata in questa
fortezza, a ridosso di una montagna
impervia e che domina tutta la vallata sottostante per tenere testa al suo imperatore. Il marito è
riuscito a fuggire dalla rocca in una notte tempestosa, come solo capitano da
queste parti, quando l’ululare dei lupi si confonde con il grido del vento,
affidando a lei la resistenza ad oltranza contro Federico II di Svevia.
La storia di Giuditta, donna vigorosa e guerriera, che si
svolge nel Molise alla fine del periodo
normanno ed all’inizio di quello svevo, è molto ingarbugliata perché le fonti
storiche che ne parlano sono contraddittorie, perfino nel nome, infatti,
certuni la menzionano come Isabella Acquaviva ma si sbagliano poiché questa
dama è vissuta ben 100 anni dopo.
Secondo certa genealogia Giuditta di Molise nasce tra il
1191 e il 1201 ed è figlia ed erede di Ruggero I, ultimo conte normanno di
Molise, che riuscì a mantenere la propria contea fino al 1196, quando fu
scacciato da Roccamandolfi dagli invasori tedeschi. Ruggero muore in esilio. Nessun figlio di
questo conte viene mai menzionato dalle cronache, mentre – secondo Evelyne
Jamison ̶
è certo che «sua figlia era
quella Giuditta contessa di Molise che portò la contea a casa Celano ed ebbe
una parte di primaria importanza nelle vicende politiche almeno fino al
1247».
La nostra contessa va in sposa a Tommaso conte di
Celano. E’ importante narrarne le
vicende storiche per capire quel periodo.
L’imperatore germanico Enrico VI, figlio di Federico
Barbarossa, scende in Italia per
stabilire il suo potere nel Regno del Sud. Egli, infatti, ha sposato nel 1186
Costanza d’Altavilla, figlia del defunto Ruggero II, rimasta unica erede al
trono del Regno di Sicilia. Molto più
vecchia di Enrico, rimane incinta dopo diversi anni di matrimonio. La regina,
però, se ne accorge solo quando il marito è già partito per la Sicilia. Avere
la certezza della propria discendenza, in quel periodo, era cosa seria poiché i
troni venivano tramandati di generazione in generazione. Temendo un inganno,
l’Imperatore ordina alla moglie, rimasta in Germania, di raggiungerlo per
partorire l’erede nell’isola siciliana. Ma durante il viaggio la regina perde le acque e il piccolo nasce a Jesi,
nelle Marche. Prima, però, la scaltra siciliana, che conosce la diffidenza di
Enrico, fa installare un padiglione
nella piazza del paese e manda un bando ad annunciare che qualsiasi donna
voglia vederla partorire è bene accetta.
Molte vanno ad assistere alla nascita
di quello che diventerà uno dei più grandi sovrani di tutti i tempi. Grazie a
questi numerosi testimoni, ad Enrico VI non rimane che riconoscere il suo
regale rampollo.
Il piccolo Federico II avrà una vita travagliata perché
perde a pochi anni dalla nascita prima il padre e poi la madre. Costanza, però,
prima di morire lo affida a papa
Innocenzo III. L’erede degli Svevi finisce, per varie vicende che
colpiscono il suo regno, per essere abbandonato a se stesso.
E’ recuperato dal suo tutore quando esce dalla minorità
(verso il 1209) e fatto re solo quando i contendenti al trono di Sicilia
muoiono o sono diventanti avversari del Papa che, infatti, prima aveva
incoronato imperatore Ottone IV di Brunswick poi lo aveva scomunicato.
Ebbene è proprio questo giovane - che si fa incoronare imperatore a Roma nel
1220 - ad entrare in conflitto con il
conte e la contessa di Celano e di Molise.
Tommaso di Celano diventa conte di Molise quando questo
contado ha appena attraversato uno dei momenti più turbolenti della sua storia.
Dopo la discesa dell’imperatore germanico Enrico VI e dei suoi feroci capitani,
inizia, infatti, nel Molise un lungo periodo di guerre che vede Mosca in
Cervello (nomignolo del tedesco Corrado Lutzelinhart) prima e Marcovaldo poi
(nome italianizzato delll’alsaziano Markwald d’Anweiler) impossessarsi della
contea, usando ogni sorta di crudeltà.
E’ Pietro di Celano, uno dei più potenti feudatari del
tempo, ad averne successivamente il possesso. Comunque, tra gli storici, anche
qui, ci sono varie versioni. Fin dal
1200 il Conte Pietro comincia a muovere le proprie pedine per
stabilire la sua dinastia nella contea di Molise, cercando di edificare una
grande signoria, che doveva estendersi dalla Marca di Ancona fino a Civitate
nella Puglia centrale, controllando le vie di comunicazione da Roma e dalla Marca al Regno. Questa politica, che
va nella stessa direzione di quella del papato, fa sì che i conti di Celano
abbiano una parte di grande importanza all’inizio del XIII secolo.
Stemma dei Celano |
Nel 1212, alla morte del padre, è Tommaso ad ereditare il
feudo molisano e le stesse ambizioni paterne. Egli, insieme alla moglie,
diventerà il fiero difensore dell’indipendenza feudale contro la politica di
accentramento di Federico II. La contea di Celano va a suo fratello maggiore
Riccardo.
I due entrano ben presto in conflitto. Infatti Tommaso
toglie la contea di Celano al fratello, e alla incoronazione di Federico II,
avvenuta a Roma il 22 novembre del 1220, solo Riccardo, si presenta ad
omaggiare il nuovo imperatore insieme ai tanti baroni accorsi.
Questo atteggiamento è la goccia che fa traboccare il vaso
già stracolmo di lagnanze del giovane regnante che ha una lunga lista di
rimproveri da muovere ai Celano, come, per esempio, il loro sostegno al rivale
Ottone di Brunswick, ma soprattutto egli intende annullare il potere dei suoi
feudatari. Infatti, non basterà al Conte Tommaso inviare il proprio figlio
Matteo da Federico II per riparare alla gaffe
e sottomettersi, né tanto meno
l’intervento del papa. Vedendo rifiutate le sue proposte, da allora in poi il
Conte di Molise, che secondo la cronaca dell’epoca possedeva 1500 uomini, apre le ostilità contro il suo Imperatore.
Giuditta, conoscendo il marito, sa perfettamente che lo
scontro tra Tommaso e l’Imperatore Federico II, che ha deciso di annullare i
poteri dei feudatari, sarebbe stato
comunque inevitabile. Il conte di Molise e di Celano non è uomo da arrendersi;
anzi, più la lotta è dura, e più si
sente spronato e pronto a battersi per
superare gli ostacoli. L’imperatore ha, infatti, in Tommaso un avversario di tutto rispetto:
tenace, scaltro, intelligente. E, lei, Giuditta, è al fianco del marito per
difendere i propri feudi, aiutandolo e sostenendolo nelle battaglie.
I primi scontri avvengono all’inizio del 1221 quando a
scacciare Tommaso da Bojano sono i suoi stessi suffeudatari che si sono
schierati con l’imperatore. Giuditta si chiude con i figli nella Rocca di Bojano, mentre il
conte con i suoi uomini raggiunge
l’inespugnabile fortino di Roccamandolfi.
La contessa è avvezza alle lotte feudali. Nella sua
infanzia, anche suo padre si è dovuto rifugiare a Rocccamandolfi insieme a
tutta la famiglia poiché Ruggero I era stato sconfitto a Roccamandolfi nel 1196
da Corrado di Lutzelinhart, e sa quindi, per esperienza, che queste battaglie
possono prendere pieghe impreviste.
Dall’alto della torre del castello il suo sguardo viene
rapito, per un attimo, dal magnifico panorama che domina un’estesa vallata di
verdi prati. Alla sua sinistra, celato al suo sguardo dai monti del Matese, c’è
il castello dove Tommaso starà facendo piani per liberarla. Ne è sicura. Deve
essere pronta per qualsiasi evenienza. A turbare le sue riflessioni, grida
minacciose salgono da sotto le mura del maniero dove è accalcata una
soldataglia cenciosa e feroce. E’ la
prima volta che i feudatari si ribellano così, sfacciatamente. Giuditta è
sempre più inquieta. Non le manca il coraggio per far fronte a questa gente, ma
preferisce aspettare Tommaso, sa che verrà.
Nel suo castello dà ordini alla servitù perché tutti siano pronti a
fuggire con le provviste, gli animali e
le poche cose.
La previdente contessa ha avuto ragione. Dopo pochi giorni,
Tommaso con i suoi uomini piomba su Bojano, sequestra i viveri, e la mette a ferro e fuoco;
fuggendo insieme ai figli, alla moglie e ai suoi uomini, ritorna a fortificarsi
a Roccamandolfi, stavolta con tante provviste da poter sopportare un
lunghissimo assedio.
Castello di Roccamandolfi (IS) |
Questo attacco mette su tutte le furie Federico II, che
invia Tommaso d’Aquino (conte di Acerra e Maestro e Giustiziere di Puglia e di
Terra di Lavoro) a riconquistare prima Bojano, poi ad assediare Roccamandolfi.
Ma anche il conte di Acerra, dopo aver raggiunto il primo
obiettivo, fa cilecca sul secondo. Tommaso e Giuditta rimangono ben
asserragliati nel loro maniero.
Nel febbraio del 1222 è lo stesso Imperatore che si presenta
con la sua armata sotto quel “forte arnese di guerra” per stanare di persona il
fellone.
E’ da più di quattro giorni che piove a Roccamandolfi. I
soldati di Federico II si sono accampati alla meno peggio sul terreno scosceso
e pietroso che lambisce le mura del castello.
Hanno acceso grandi falò che la pioggia battente ha spento. Il freddo e
l’umidità si fanno sentire. La notte è scesa molto presto, una fitta nebbia ha
inghiottito tutta la valle, non si vede a meno di due metri dal proprio naso.
Tuoni e lampi echeggiano a intervalli regolari. Tommaso approfitta per fuggire
dalla rocca senza farsi notare. Lui e i pochi
uomini che lo seguono conoscono tutti i sentieri. Non è difficile per
loro trovare una via di fuga sicura. Il
conte lascia il comando alla moglie. Sa che può contare su di lei, sul suo
coraggio e la sua abnegazione.
Ed è così che l’Imperatore viene beffato. Giuditta lo osserva mentre se ne va, fiero
sul suo cavallo, chissà verso quali altri feudi in rivolta. All’assedio di
Roccamandolfi rimane solo il conte di Acerra chiamato, però, ben presto in soccorso delle armate imperiali
perché Tommaso, che non è rimasto a guardare, una volta raggiunta la libertà,
con l’aiuto di suo cognato Raimondo d’Aversa, si impossessa del suo feudo in
Marsica, e guerreggia a destra e a manca
battendo le truppe imperiali. Solo a
Celano si fa sconfiggere.
Intanto, Giuditta e i suoi, che non sanno di tutte queste
lotte, cominciano a patire. Sono più di due anni che la fiera contessa tiene
questa rocca. I viveri, che ha amministrato con tutta la meticolosità
possibile, cominciano a scarseggiare. Impossibile poter uscire: gli uomini del
conte di Acerra bloccano tutte le vie di fuga. La sua gente non si lamenta ma
lei legge suoi loro volti il patimento. E’ una grande sofferenza che le strazia
il cuore perché aspettano tutti una
decisione che può venire solo da lei.
Da pochi giorni hanno dovuto sacrificare anche l’ultima capra: non si
riusciva più a trovare il foraggio nemmeno per lei. E adesso, come può
sopravvivere se Tommaso non arriva a liberali?
Quanto tempo ancora potranno resistere?
Roccamandolfi e, in alto a sinistra, il suo castello |
Ormai, però, si sono stancati un po’ tutti di questo assedio, in primis
l’Imperatore che deve rinunciare a tanti uomini per tener testa a una donna.
Comincia allora una trattativa in cui
alla contessa viene offerto un salvacondotto per lei e la sua gente e per tutti
i suoi beni. Un’offerta generosa che l’accorta Giuditta sa di non poter
rifiutare.
“Stupor mundi” ̶ così come è
chiamato Federico II per la sua grande cultura e la conoscenza approfondita di
varie lingue ̶ che durante questi anni ha avuto modo di
apprezzare la guerriera molisana, fa di più, e le chiede di presentarsi al suo
cospetto con i figli. Egli vuole che lei, Giuditta, perori la sua causa presso
il marito, lo faccia rinsavire arrendendosi.
Giuditta non riesce a piegarlo, soprattutto perché anche
Tommaso sta lavorando tramite la Curia pontificia e il Maestro dei Cavalieri
dell’ordine Teutonico per avviare una trattativa che porterà i suoi frutti. Il 25 aprile 1223, infatti,
Federico II chiude la partita con il suo avversario stipulando un trattato che
legittima il governo amministrativo del Molise. Ad un patto, però, che egli si
allontani dal Regno per tre anni, consegni suo figlio al Maestro dei cavalieri,
e che il governo del suo feudo sia affidato alla moglie. In questo trattato il
conte Tommaso promette di:
«Cedere i suoi
castelli della Torre di Celano, Serra di Celano, Ovindoli e S. Petito. […] Per
quel che riguarda il Molise le condizioni sono chiare ed esplicite.
L’imperatore assicurava la contea e le sue città, le baronie e i feudi in
perpetuità a Tommaso e sua moglie ed i loro eredi, insieme con l’ufficio di
giustiziere della contea, con alcune limitazioni, che accrescevano il potere
della magna curia. D’altra parte Federico si riservava il diritto di
distruggere qualsiasi fortezza, e stipulava di tenere Rocca Bojano sotto il suo
dominio fino al ritorno d’oltre mare [partiva per le Crociate]. Tommaso, da
parte sua, doveva allontanarsi dal Regno per tre anni […]. Suo figlio e il
figlio di Rainaldo d’Anversa dovevano essere dati come ostaggi nelle mani del
Maestro dell’ordine dei Cavalieri Teutonici. […] I magnati della corte
imperiale dovevano essere i garanti del trattato per Federico, mentre il papa
lo era per il conte […]». Afferma la Jamison (I conti di Molise e di Marsia) che, per quanto riguarda la contessa
di Molise, lo stesso autore, Riccardo di S. Germano, porta due versioni
diverse: la prima che la moglie con i figli segua Tommaso nell’esilio e la
seconda, la più probabile, che Giuditta prenda il comando della contea di
Molise. Tutti gli altri storici riportano, invece, la versione di Giuditta che
diventa reggente per il figlio, dopo l’allontanamento del marito.
Il conte Tommaso, dopo il trattato, parte per Roma,
iniziando così il triennio di esilio, lasciando Giuditta padrona della contea
di Molise. Intanto Federico, temendo che qualcun altro si fortifichi, fa abbattere subito le mura del maniero di
Roccamandolfi.
Governare un feudo non era cosa semplice. Esso richiedeva
grandi capacità, non solo amministrative. Tutti gli abitanti della contea,
includendo baroni e cavalieri, erano soggetti alla giurisdizione del
conte. Infatti, il feudatario era tenuto
a mantenere l’ordine e ad amministrare la giustizia; aveva il dovere di
proteggere chiese e persone ecclesiastiche;
era responsabile del servizio militare sia personale che pecuniario
dell’intera contea e del pagamento della collecta;
godeva del diritto di mercato e riscuoteva diritti fiscali; aveva il diritto di
nominare i locali baglivi, giudici e notai; riceveva tutti i tributi liberi e
servili dai suoi vassalli, e altro ancora.
Un compito non certo facile che spetta a Giuditta e che la
contessa assolve degnamente. Ma non passa nemmeno un anno che le cose si rimettono male perché Tommaso non
è uomo da tener fede agli impegni, soprattutto quando questi non coincidono con
le proprie aspettative.
Alla fine del 1223, infatti, il conte di Molise e di Celano
viene chiamato dal Gran giustiziere Enrico Morra per rispondere di infedeltà
all’imperatore e, non essendosi presentato, gli sono sottratti i diritti sulla
contea che è, quindi, trasferita al demanio regio. Una decisione che Federico
II covava da tempo.
Le terre rimangono sotto l’amministrazione degli uffici
imperiali almeno fino al 1228. Poi si affacciano sulla scena politica nuove
alleanze, un altro papa che entra in conflitto con Federico e, a Tommaso conte
di Celano, in esilio a Roma, si presenta l’occasione di reinserirsi nella lotta
e tentare di riacquistare le terre perdute entrando nel Regnum alla testa delle truppe papali nel 1229 e nel 1240 ma,
quest’ultima volta , il trionfo è di breve durata perché il nobiluomo riesce a
riprendere la contea di Molise solo per un’estate.
Da quel momento le cronache si disinteressano della contessa
Giuditta narrandoci unicamente delle vicende del figlio Ruggero a cui il papa Innocenzo IV, nel 1254, dopo la morte
dell’imperatore, conferisce la contea di
Molise.
Il 19 ottobre, appena ottenuta l’investitura feudale, incontriamo Ruggero
di Celano a Isernia con il titolo di conte di Celano, Molise e Albe. Le vicende
dei conti di Molise, tra alti e bassi, continuano fino alla morte di Ruggiero,
avvenuta nel dicembre del 1282. Egli – secondo Evelyn Jamison ̶ è stato l’anello di congiunzione tra due età
molto differenti l’una dall’altra. «Nato durante l’infanzia di Federico II,
divenne lo strumento dei grandi papi del XIII secolo contro gli Hohenstauffen.
Come persona, ha dato l’impressione d’essere stato un uomo pacifico e contento,
capace di accattivarsi degli amici, ma mancante della instancabile energia e ambizione
dei suoi antenati: Pietro di Celano, l’eroico Tommaso e Giuditta di Molise».
Papa Innocenzo IV |
Nel 1297 il contado di Molise si può dire estinto come
grande unità feudale, ma perdurante come divisione permanente
dell’amministrazione regia: il miglior monumento dei successi e delle sconfitte dei conti
nella loro lotta contro la Monarchia. E Giuditta di Molise, in questa storia,
ha occupato un posto di rilevo.
Barbara Bertolini ©2014 tutti i diritti riservati.
Bibliografia:
Ciarlanti G. V., Memorie istoriche del Sannio, vol. IV, sec. ediz., Tip. Nuzzi, Campobasso 1823
Jamison E., I Conti di Molise e di Marsia nei secoli XII e XIII, in Convegno
storico Abruzzese-Molisano, Atti e memorie,
25-29 marzo 1931
Jamison E., I Conti di Molise e di Marsia nei secoli XII e XIII, Ed. Nicola de
Arcangelis, Casalbordino, 1932
Masciotta G., Il Molise dalle origini ai nostri giorni, vol. I
Morra G., Venafro e i Conti di Celano nella lotta tra impero e papato 1196-1257,
in “Rivista Storica del Sannio” I, Napoli 1994
Jamison E., L’Amministrazione della Contea di Molise nel XI e XII sec, in “Samnium”, gennaio-dicembre 1991
anno LXIIV, 40
Clementi A., voce Tommaso da Celano, Conte del Molise, in Dizionario biografico degli
italiani, Treccani, vol. 23
Frattolillo R., Bertolini B., Il
tempo sospeso. Donne nella storia del Molise, Filopoli, Campobasso 2007
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