Due giornaliste, con alle spalle 20 anni di ricerche biografiche, hanno deciso di concentrarsi sul variegato mondo femminile, così poco studiato fino a non molto tempo fa e che la storia ha spesso relegato nel dimenticatoio...

martedì 24 giugno 2014

Quirina MOCENNI


di Rita Frattolillo

(Siena 25.6.1781 – Firenze, 3.7.1847), gentildonna, amante di Ugo Foscolo e curatrice delle opere del poeta

Mi trovo a Firenze, all’imbocco di via del Melarancio, nel popoloso borgo San Lorenzo, quando la mia attenzione viene attratta da una lapide affissa su un bel palazzo di stile classico. La lapide è  in latino, cosa che mi lascia pensare a  qualcosa di particolarmente importante,  e il nome della donna menzionata che qui abitava, Candida Quirina Mocenni, non mi è nuovo, devo averlo letto da qualche parte. Mentre mi accingo a decodificare la scritta resto calamitata davanti al nome del mito assoluto di generazioni di  liceali, me compresa, il poeta-soldato di cui non mi stancavo mai di leggere le opere: Ugo Foscolo.

Ebbene, lui, il mio mito, chiamava questa Quirina Mocenni, che era uno spirito colto e sensibile all’arte – dice la lapide – Donna Gentile. Sfoglio mentalmente i miei ricordi scolastici, mi affiorano immediatamente i  nomi delle due gentildonne che gli avevano ispirato i versi studiati da noi adolescenti, e cioè l’amica risanata Antonietta Fagnani Arese, famosa contessa milanese, e Luigia Pallavicini, quella Caduta da cavallo, per intenderci. Mentre stavamo curve sull’antologia della letteratura italiana, noi ragazze eravamo un po’ gelose di quelle dame che avevano avuto la buona sorte di incrociare il poeta di Zacinto, ed avevamo il fondato sospetto che tra lui e loro ci doveva essere stato, all’epoca, del tenero. Infatti, in seguito, scavando più a fondo, avevamo scoperto che la contessa Fagnani non aveva solo tradotto per Foscolo il Werther di Goethe, perché l’epistolario  intercorso tra i due documenta un amore violento durato due anni, tra il 1801 e il 1803.

 Niente di strano, ragiono mentre leggo la lapide, che anche questa “Donna Gentile” sarà stata vittima del fascino un po’ tenebroso del Foscolo, che, con il suo aspetto di eroe romantico impetuoso e inquieto, i capelli rossi e ricci al vento, il pastrano verde, aveva fatto sognare chissà quante donne! Ma c’è dell’altro, perché, andando avanti nella decodifica del testo latino, leggo che lei era ammirata per le sue qualità nientemeno che da Vittorio Alfieri, Giovan Battista Niccolini, Gino Capponi, Leopoldo Cicognara, Silvio Pellico, e che fu di grande aiuto al poeta dei Sepolcri.

La temperie tumultuosa che evocano questi personaggi di grande profilo culturale e politico vissuti nell’Italia risorgimentale in una delle nostre regioni più evolute,  risveglia il mio desiderio di indagine, di saperne di più, di conoscere la personalità della gentildonna toscana e l’ambiente in cui si è mossa, di penetrare nella sua vita, soprattutto mi intriga capire in che modo la sua esistenza è stata attraversata da quel ciclone che, nella mia immaginazione, doveva essere Foscolo.
 Quirina è stata un’insignificante avventura nell’elenco fin troppo nutrito degli amori del poeta, oppure ha rappresentato davvero, come lascia intuire la lapide, un punto di riferimento sicuro nella sua esistenza? E’ così che ho cercato di saperne di più.

Firenze, autunno 1812. Mentre si trovava tra Ponte Vecchio e il Mercato Nuovo, la gentildonna Quirina Mocenni maritata Magiotti vide di sfuggita colui che  “mi fece battere il cuore con tanta veemenza! E allora non ti conoscevo, e allora parlò il cuore prima della testa…

 Chi è davvero questa donna? E perché il poeta si trova a Firenze?  Lei ha trentun’ anni, e non è più la fanciulla dolce, elegante e pettinata alla moda che vediamo in un  ritratto del 1833 custodito a Palazzo Pitti. Quirina vi è ripresa seduta su una poltroncina stile Impero, mentre accarezza il suo cagnolino, simbolo di fedeltà; nella destra stringe un libro, cosa che indica il suo amore per la poesia.

Contessa d'Albany con il poeta
Luisa Stolberg, contessa d’Albany (Mons, 1752- Firenze, 1824), che era amica intima dell’affascinante madre di Quirina, Teresa Regoli,  nelle sue lettere la descrive spesso, ma  sempre  con poca tenerezza.

 Infatti nella lettera del 19 marzo1803 scrive all’amico Ansano Luti:
 “...ella non è carina e il suo colorito non è bello; non ha che la giovinezza”; prima ancora (lettera a Luti del 11.12.1802) : “Ella assomiglia poco a sua madre, e non è graziosa, ma ben fatta”.

La verità è che la malattia di Teresa Regoli che, assieme alle numerose gravidanze, ne minò la salute  fino a portarla alla tomba ad appena cinquant’anni, condizionò la vita della figlia Quirina, a cominciare dal nome che le era stato imposto, in omaggio al suo padrino di battesimo, il senatore veneto Angiolo di Lauro Quirini.

La ragazza, seconda di sette figli, era cresciuta con i suoi fratelli  in una famiglia senese molto benestante, in un ambiente  ricco di stimoli, ed era stata  istruita presso le suore del conservatorio di Santa Maria Maddalena. Persona sensibile e colta, nutriva interessi simili a quelli della madre, che aveva tenuto a Siena un importante salotto frequentato da Vittorio Alfieri e da alcuni esponenti della rinascita culturale senese. Salotto dove non compariva mai il padre di Quirina, Ansano, facoltoso mercante di tessili, proprietario di poderi e di bestiame,  il quale non vedeva di buon occhio lo stuolo di intellettuali che frequentavano la sua dimora e facevano da cavalieri serventi alla bella Teresa. E lui  reagiva nel peggiore dei modi,  mostrando agli habitué un lato gretto e irascibile, e “punendo” la moglie con gravidanze continue. Questi salotti, circoli culturali molto in voga nell’Ottocento, erano sorti nel secolo precedente, con il diffondersi del movimento letterario dell’Arcadia, sull’esempio dei salon parigini. Vi primeggiano figure femminili dotate di forte ascendente mondano-culturale. A Milano come a Napoli i salotti diventano luoghi di ritrovo in cui la donna poteva finalmente conversare, intrattenere, esprimere la propria opinione. Nel granducato di Toscana la costante presenza di grandi personalità femminili che costituiscono un punto di attrazione e di aggregamento per la vita letteraria  fa di questi cenacoli un laboratorio di nuove idee, e di innovative posizioni politiche, vero centro propulsore di spiriti aperti e cosmopoliti.

 A Firenze era celebre il salotto della contessa d’Albany, il più prestigioso dopo quello della granduchessa Elisa Bonaparte. Ad esso si ispirarono diverse dame del capoluogo, di Pisa, Livorno, Pistoia. In questi club, ai riti della cortesia mondana si sovrappongono e si intrecciano gli accesi ideali del romanticismo europeo e del patriottismo risorgimentale. Intorno ai grandi personaggi “si aggiravano leggiadre fanciulle e graziose signore, e fra una discussione d’arte e una di politica si trovava il tempo di stringere un intrigo d’amore, di stendere la tela di un romanzo galante”. La contessa d’Albany, donna spregiudicata, già moglie del pretendente al trono d’Inghilterra Carlo Stuart, aveva vissuto con Vittorio Alfieri  fino al 1803, anno della sua morte, e ora aveva un nuovo amore, il pittore di Montpellier  François Xavier Fabre, che ritrarre più di una volta lei e il suo entourage. Donna colta, estimatrice delle opere di Montaigne e di Shakespeare, aveva un grande temperamento. Era legata a Mme de Staël dalla comune avversione per Bonaparte, ed era una convinta leopoldina, perché con l’avvento dei Lorena, e in particolare grazie a Pietro Leopoldo, la Toscana, dopo un lungo periodo di torpore, aveva cominciato a riprendersi anche dal punto di vista letterario. Era merito di Leopoldo e degli ideali risorgimentali se, a partire dai primi decenni dell’Ottocento, la cultura toscana si era risvegliata profondamente. I confini toscani si erano così aperti alla diretta influenza della cultura d’oltralpe. Basti pensare al carattere innovatore dell’opera del ginevrino Giovan Pietro Vieusseux, che si era stabilito nel capoluogo toscano dopo un’intensa attività europea creandovi il Gabinetto omonimo. Esso in breve rappresentò un  modello unico in quel periodo, poiché riuniva le personalità più vive della cultura contemporanea, da Gino Capponi a Raffaello Lambruschini, a Gabriele Pepe, a Niccolò Tommaseo. Inoltre il richiamo internazionale esercitato dal Vieusseux fece di Firenze  un centro propulsivo di carattere europeo quando vi si insediarono colonie estere, specie anglosassoni, di cui la contessa Stolberg era la rappresentante più in vista. Nel suo salotto, con l’Alfieri, aveva dato vita a un centro di incontri e scambi tra insigni esponenti della cultura, ma anche della dissidenza politica. Lì la contessa faceva sentire le lettere di Madame de Stael, il giovane Lamartine leggeva i suoi primi versi, Chateaubrinad  i suoi Martiri, Canova meditava la scultura delle Grazie, Byron narrava le avventure dei suoi viaggi.

 Quirina frequentava abitualmente la residenza della contessa a palazzo Gianfigliazzi.

Siccome il grande astigiano  aveva battezzato uno dei fratelli di Quirina, il legame era molto stretto.  Ed è proprio con l’aiuto dell’epistolario della contessa d’Albany, che, gettando luce sull’esistenza di Quirina,  ho  potuto ricostruire la vicenda umana di questa donna.

L’aggravarsi della malattia di Teresa fece precipitare gli eventi, per cui,  appena Quirina uscì dal conservatorio, a diciotto anni, la famiglia strinse i tempi per accasarla. Anche la contessa si diede da fare, ma la scelta, disgraziatamente, cadde su Ferdinando Magiotti, pronipote di Raffaello Magiotti, che era stato discepolo di Galilei, uomo molto ricco, ma  in precarie condizioni intellettive e mentali.

 Silvio Pellico, che fu sincero amico di Quirina, lo definisce:
 “...un povero infelice, scemo dalla nascita, ma ricco”; oltretutto era l’unico figlio del capitano Camillo che gli era attaccatissimo, e questo legame così forte condizionerà fino all’ultimo la nuora.  Il matrimonio venne celebrato nella cappella della famiglia Mocenni  un mese prima della morte di Teresa, che avvenne il 21.9.1802. Quirina veniva così condannata ad una esistenza sicuramente infelice, seppure molto agiata per le proprietà terriere del marito sparse tra Montevarchi e San Leonino.

I primi anni di matrimonio si rivelano difficili e pesanti da sopportare non tanto per la “compagnia” del marito (un “giucconello”, annota nel colorito gergo toscano Anton Francesco Bandini nel Diario Sanese) quanto per la soffocante presenza del suocero, avaro e tirannico, che, persino nel testamento, stilato il 15 gennaio 1815, si mostrerà  irriconoscente.

Unica nota positiva, il trasferimento della coppia tra Firenze e  San Leonino, Montevarchi, dove Quirina, che ama molto la campagna, la vita riservata e le attività agresti,  si occupa dei possedimenti del marito. Nel capoluogo toscano, un po’ alla volta, seguendo le orme della madre, Quirina anima un salotto culturale.
 A sei mesi dalle nozze, la contessa Stolberg annota, nella lettera del 5 febbraio1803 al solito Luti: “La Quirina è sotto la sferza del Capitano che non la lascia mai; gli occhi di lei manifestano che ella vorrebbe altre cose, ma il cerbero la sorveglia”.

Il 7ottobre 1803 la contessa scrive al fratello di Quirina, Vittorio:
La vita che conduce è terribile e non capisco come possa resistervi alla sua età”. (Da notare che il giorno dopo Alfieri, 54 anni, muore , e la contessa si mette in moto per erigergli nella chiesa di Santa Croce il monumento funebre eseguito da Canova).

Un paio di anni dopo arriva un cambiamento, e la cosa non sfugge all’intrigante contessa: “Quirina si è trovata qualche distrazione; ella fa un po’ di società. (…) bisogna prendere ciò che si trova quando non si è carine e quando si ha un cerbero infaticabile che la sorveglia continuamente”(lettera a Luti del 25 gennaio 1805).
Passano sette mesi e sappiamo dalla contessa (lettera del 28 agosto 1805) che Quirina “è occupata dal generale Michelangelo [DBI dice Luigi , n.d.r.] Colli e lui da lei. Egli ha spazzato presso di lei tutte le persone che gli dispiacevano ed è restato il solo padrone del campo.

 Questo Generale, famoso per non aver mai vinto una battaglia, si trovava a Firenze dal 1799 come ambasciatore austriaco  nel Regno di Etruria. Grazie alla sua influenza sul Maggiore Magiotti, il Generale Colli riesce a spezzare in parte le catene che tenevano prigioniera Quirina, stretta tra le cure al marito, la presenza del suocero, che morirà nel 1817,  e il pensiero per il padre e i fratelli. La fa distrarre, la porta a teatro, e fa pure rivedere il contratto di matrimonio di Quirina, migliorandone le condizioni economiche. In questi anni, la gentildonna intrattiene una fitta corrispondenza con il padre Ansano (che morirà nel 1822), il quale le chiede spesso consigli e la mette al corrente degli affari di famiglia, ma anche dei difficili rapporti con gli altri figli. Dalle lettere emerge la grande generosità della donna, il suo altruismo, e la  bontà di un animo sempre disposto a dare senza chiedere nulla in cambio. Dopo la morte del Generale Colli, che avverrà il 22dicembre 1808,  Quirina riprende la vita di sempre, senza grandi emozioni, assistendo marito, suocero e padre, finché avviene la svolta che sconvolgerà per sempre e radicalmente la sua esistenza. E niente più sarà come prima.

Ugo Foscolo
 E’ l’8 agosto 1812 quando il trentaquattrenne capitano Ugo Foscolo, nato a Zante (isola greca sotto la dominazione veneziana) nel 1778 da padre veneziano e da madre greca, ottiene un permesso di allontanarsi per otto mesi dal Regno d’Italia per motivi di salute e per occuparsi dei suoi studi letterari, “onde poter dare alla letteratura nuove ed interessanti produzioni” - così il ministro Fontanelli nell’accordare il permesso. Foscolo è malato, soffre di uretrite cronica, spesso ha la febbre e l’affanno, ha i primi sintomi dell’ idropisia che lo condurrà alla tomba a soli quarantanove anni, nel 1827.

 Il 17 agosto arriva a Firenze e prende alloggio all’albergo delle Quattro Nazioni, che fa parte del palazzo Gianfigliazzi, residenza della contessa d’Albany, sul Lungarno. In quelle sale, grazie ai coniugi Cicognara, amici intimi di Quirina, i due giovani fanno conoscenza.

 Con l’animo ancora pieno della lettura dell’Ortis e dei Sepolcri, la gentildonna sussultò, vedendo materializzarsi davanti ai suoi occhi il creatore di sentimenti così forti e nobili.

Con il cuore in tumulto, fu presa dal fascino potente che il poeta suscitava intorno a sé. Anni dopo, Quirina ricorda in una lettera all’amato (3giugno1816) il loro primo incontro:
 “…è qui Leopoldo Cicognara: io l’ho veduto questa mattina devotamente a S.Trinita; avevo desiderio d’abbordarlo, ma non mi sono arrischiata e mi prometto di vederlo domane andando a fare i miei umilissimi ossequi alla moglie Lucietta; non ho mai più salite  quelle scale da poi che per mezzo loro ti conobbi personalmente, e mi batte il cuore, non so se di dolore o di gioia, pensando di risalirle – ma non so il perché, e mi par mill’anni di rientrare in quella stanza…”

Dopo quel primo incontro, Foscolo chiese e ottenne il permesso - come era costume all’epoca - di far visita alla gentildonna, che allora abitava in via dei Servi, e ne divenne subito innamorato, cosa che a lui accadeva spesso. Nelle case signorili il cavalier servente aveva sempre libero accesso - come sottolinea malignamente la contessa d’Albany in una sua lettera - e, se i puritani criticavano, la società mondana, colta e brillante, non si scandalizzava.

Nei primi giorni, tra Foscolo e la gentildonna ci fu solo scambio di parole galanti e di libri; probabilmente è proprio grazie a uno scambio di libri che lui abbia trovato il pretesto per dichiarare alla Donna Gentile il suo amore.

 Le visite non ebbero dapprima nulla di intimo, ma poi Foscolo chiese che la colta dama gli accordasse dei colloqui a quattr’occhi. Era costume che la donna rifiutasse, e Quirina, naturalmente, rispose con un rifiuto, anche se le dovette costare parecchio. Infatti dopo qualche giorno, lei accordò i sospirati colloqui, e, un incontro dopo l’altro, la resistenza della donna si dovette sciogliere come neve al sole, se in una lettera Foscolo le scrive:

 “Buon giorno, Quirina - Buon giorno. Prega Dio per me, perché questo freddo mi fa male davvero, e m’irrigidisce il corpo e la mente; ed avrei irrigidito anche il cuore se destandomi non me lo sentissi riscaldato sempre da te”.

 I due amanti si davano appuntamento nell’appartamento ammobiliato affittato il 4ottobre 1812 da Foscolo in Borgo d’Ognissanti, che il poeta descrive come “presso al passeggio, e al parco delle Cascine e dell’Arno, elegantemente fornita, e con un giardino indipendente e solitario”.

 Si incontrano anche nel salotto della contessa, a cui Foscolo era stato presentato per lettera da Isabella Albrizzi. Lettera superflua, in quanto era stato preceduto dalla fama di poeta grandissimo, pari a quella di Vincenzo Monti. Ma passava anche per frondeur  e  fiero antibonapartista, dopo che Bonaparte, “vendendo”  Venezia all’Austria (trattato di Campoformio del 17ottobre 1797),  aveva suscitato una cocente delusione e un forte risentimento nel Foscolo, che in un primo tempo aveva creduto nel “Liberatore”.

Per giunta la rappresentazione dell’Aiace aveva fatto scorgere ai cortigiani di Napoleone una impietosa satira contro l’imperatore, e questo aveva aumentato le sue quotazioni presso gli antifrancesi dichiarati, come la contessa d’Albany, che gli aprì entrambi i battenti del palazzo Gianfigliazzi. In quest’ambiente metà politico- letterario, metà mondano, Foscolo aveva acquistato diversi titoli in più per la sua nomea di sciupafemmine e anche di rovinafamiglie, dal momento che non si fermava neanche davanti alle donne sposate, come era capitato con la bella Teresa Pickler (moglie di Vincenzo Monti), e con Maddalena Bignami, moglie del banchiere milanese Paolo, che aveva tentato il suicidio.

Comunque sia, il mondo muliebre non poteva restare insensibile di fronte a un uomo che nello stesso tempo era soldato, poeta, filosofo, romanziere, patriota e...scapestrato. A uno che aveva scritto pagine appassionate e commoventi, e che alle donne che in quel momento amava accordava, come ricompensa delle tenerezze date  e ricevute, l’immortalità nei suoi libri, anche se, come diceva la contessa Porro, “Foscolo lasciava dovunque delle Terese [La protagonista delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, n. d. r.].

Dopo tutto, il terreno, a Firenze, era propizio agli amori clandestini e ai romanzi galanti. Fatto sta che, benché anziana, un’impenitente galante come la contessa Stolberg gli scriveva senza giri di parole:

 Ne croyez pas que je puisse vous oublier; mon amitié pur vous est fondée sur vos belles qualités, et je vous aimerai jusqu’au tombeau. Je voudrais vivre dans la même vie que vous, et que les heures que vous ne consacreriez à votre amie [Maddalena Bignami, n.d.r.] vous les donneriez à moi ”.
lettera autografa di Quirina a Foscolo

 Insomma, la contessa l’avrebbe amato fino all’ultimo respiro, e si sarebbe accontentata delle ore lasciate libere dalle altre donne pur di stare con lui…!
 Ma non per questo, anzi proprio per questo non rinunciava a sparlare dell’amicizia troppo stretta tra Foscolo e Quirina, e non risparmiava critiche alla figlia della sua migliore amica, dimenticando il ruolo che lei stessa aveva giocato nello sfortunato matrimonio della giovane. Esasperata dai commenti ben poco benevoli della contessa, Quirina il 16 gennaio1816 scriverà a Foscolo:

 “La contessa ha detto a tutti i suoi conoscenti, e indifferenti, e cattivi, e maligni, e oziosi, il contenuto della tua troppo lunga lettera. La è donnaccia, pettegola, senza cuore, io te l’ho scritto mille volte quando eri a Milano, e avevo mille ragioni per dirtelo, e non l’ho voluta più vedere malgrado che nella mia pericolosa malattia cercasse le mie nuove tutti i giorni e dicesse bene di me, e che forse dimenticatasene ne avrà detto poi male dopo due giorni ma siffatta gente non fa per me, e me ne sto piuttosto sola che umiliarmi a loro”.

Nei primi mesi del 1813 Foscolo lascia Borgo Ognissanti e si trasferisce in una villa a Bellosguardo, “La Torricella”, che era vicino a quella dell’”Ombrellino” (dove aveva abitato Galilei);  le visite di Quirina si fanno più frequenti soprattutto nei momenti in cui i mali del poeta si riacutizzano. L’ambiente di Bellosguardo, lo stupendo panorama che si gode dai dolci pendii esercitarono una benefica influenza sull’animo del poeta, che non lascia mai la penna, e lavora intensamente mentre lei lo assiste al  capezzale con tutto l’amore di cui è capace. Lo “assiste” anche economicamente, con prestiti consistenti, dato che Ugo è dissipato, ama il gioco, e si indebita piuttosto spesso.  Intanto, Antonio Canova sta creando la scultura delle Grazie, e già solo il parlarne con lo scultore gli ispira il carme Le Grazie. Lavora alla tragedia Ricciarda, completa la traduzione dall’inglese de Il viaggio sentimentale di Yorich lungo la Francia e l’Italia di Laurence Sterne, pubblica Notizia intorno a Didimo Chierico, che è il suo pseudonimo. Dal letto le scrive:
Se io non avessi la certezza che domani -tutto domani - t’avrò vicina, e starò solo, tutto solo con te, io non sopporterei con tanta rassegnazione l’infiammazione di cui tutto ardo, dentro e fuori…Non so, poveretta mia, se tu mi farai domani più da ospite che da infermiera; ma se io starò anche morente vicino a te, non sentirò né il dolore, né il languore dell’infermità.”

Sale alla villa anche il pittore Fabre per dipingere il ritratto del poeta commissionato dalla contessa. Durante una visita di Quirina, Foscolo scrive di getto il sonetto “Alla donna  gentile” dedicato a lei, ma, non soddisfatto, lo lacera. Lei raccoglie i pezzi, li ricompone, conserva il foglio. Poi incarica il pittore Garagalli di fare una copia, in un formato ridotto, del ritratto di Fabre, e dietro al ritratto di Foscolo incolla il sonetto, tuttora conservato presso la Biblioteca Labronica di Livorno. Ma non era stato facile ottenere il permesso di far copiare il ritratto, come risulta da questa lettera indirizzata a Foscolo da Firenze il 7marzo1815: “…Questa grazia che io reputo somma imploro da te anima mia, e il negarmela sarà un dolore acuto che mi verrà da te. Addio; aspetto la tua risposta come i ragazzi aspettano il ceppo.
Epistolario


Il periodo passato a Bellosguardo probabilmente è il più sereno, per i due amanti, e molto creativo per il poeta, ma non appena Quirina si allontana per curare gli interessi di famiglia a Montevarchi e a San Leonino, Ugo, malgrado la malattia, trova il tempo di intrecciare o rincorrere vecchi e nuovi amori. Ritrova Isabella Roncioni (ormai diventata marchesa Bartolommei), una bellezza bionda, delicata, vaporosa, sguardo ceruleo, che forse gli aveva ispirato il personaggio dell’Ortis di Teresa. La ama inutilmente, uno dei pochissimi fiaschi nel nutritissimo carnet amatorio del poeta. Amare ardentemente è più forte di lui, fa parte della sua natura, e lo sa.

Si  accorge, Quirina, delle sue infedeltà?

 Non solo se ne accorgeva, ma era lo stesso poeta a confidarle i suoi crucci amorosi, e, spesso, anche i suoi rimorsi e pentimenti per aver fatto soffrire le sue amanti.
 La conferma viene, oltre che dal carteggio tra Foscolo e Quirina, da una testimonianza diretta del marchese fiorentino Gino Capponi (1792-1876), il quale avvertiva bene i difetti di Foscolo, e traccia questo ritratto encomiastico della gentildonna:
Nessuna donna comprese e amò il Foscolo più della Quirina Mocenni; dimenticata spesso da lui, non si mostrò mai e forse non si sentì offesa, giacché il suo affetto era sì puro e sì alto da non poter essere turbato o scemato per femminili dispetti o rancori. Amò senza pretese, senza esigenze; tollerante, mite; non mai rampognatrice (…), soccorse al poeta nelle sue strettezze, or palese, or nascosta, delicata sempre. Amò senza chiedere e pretendere amore; amò confidente d’altri amori del poeta; amò serena, costante, infaticabile nel temperare all’uomo amato le noie e i dolori della vita”.

Il legame dura fino al 15 novembre 1813, quando Foscolo lascia definitivamente Firenze. I due non si vedranno più, ma l’amore e l’amicizia sincera di Quirina non verranno mai meno, anzi sarà lei a confortarlo e aiutarlo durante l’esilio. Infatti lei rimase in contatto epistolare con il poeta e lo assisté sempre, anche finanziariamente, durante il lungo esilio. L’unico vuoto nella corrispondenza si registra tra il 7 novembre 1816 e il  25 marzo 1817 e poi tra il 1819 e tutto il 1821.
Prima di partire, Foscolo la destina curatrice di tutte le sue cose lasciate a Bellosguardo, compresi i  libri.

La corrispondenza, che comprende un arco di quasi undici anni, testimonia che gli slanci di passione si sono trasformati in un affetto tranquillo e saldo. Foscolo le parla di sé, le invia qualche libro, le racconta le sue vicende, si confida, le conferma amicizia imperitura. Intanto, le imprese militari e le vicende amorose si susseguono ininterrottamente. Tornati gli austriaci dopo la rotta napoleonica di Lipsia, nel 1814, Foscolo si rimette in armi per difendere l’Italia, e riprende il suo posto nell’esercito, ma gli austriaci cercano di trarre dalla loro parte il poeta, sicuri del fascino potente che esercita sulle nuove generazioni. Il maresciallo Bellegarde gli propone di fondare e dirigere un periodico, in modo da diffondere simpatia per l’Austria tra le classi sociali. Foscolo pareva essersi arreso. Pronta l’uniforme militare austriaca per il solenne giuramento del 1 aprile. Ma il discepolo di Parini e Alfieri, il cantore de I Sepolcri, ritrova la parte migliore di sé, ci ripensa, e di nascosto parte da Milano per l’esilio, prima in Svizzera, poi in Inghilterra.

 Con quel gesto rinunciava al benessere che finalmente avrebbe trovato, e affrontava,  a trentotto anni, lui che era amante del lusso, disagi, umiliazioni, miseria. Ma la sua dignità di scrittore, di uomo, di italiano, era salvo. Dall’esilio - in Svizzera fino al 1816, poi in Inghilterra fino alla morte- non tornò più. Quirina lo conforta sempre con il proprio affetto e lo aiuta economicamente, tanto che i maligni l’hanno definita “il bancomat” di Foscolo.

Lui, intanto, è incalzato dalla polizia austriaca e dalle ristrettezze economiche. Lei si offre di fargli avere una somma ogni tre mesi, e poi, senza farsi scoprire, acquista sotto anonimato tutti i suoi libri lasciati a Milano (in casa di Luigi Porro, dove Pellico, precettore dei suoi figli, risiedette fino al suo arresto, nel 1820), facendogli mandare la somma da Pellico.
Il falso acquisto dei libri foscoliani fu l’occasione per avviare un lungo carteggio contraddistinto da grande stima e amicizia tra il patriota di Saluzzo e Quirina. E quando lei gli regala un prezioso orologio d’oro da tasca (ora nel museo di Asti) che era appartenuto ad Alfieri,  il patriota, che aveva terminato la prigionia, così le risponde (lettera da Torino del 15 maggio1833) :

Dilettissima amica, ti dico che se esulto d’avere sì prezioso orologio, esulto più ancora di vedermi così amato, così onorato da te, che tu abbia voluto darmene così squisita testimonianza. Mia gloria  è d’esserti amico; mia gloria è di aver capito da gran tempo l’eccellenza dell’anima tua”.

Da parte sua, Foscolo le manifesta il suo affetto destinandole una delle tre copie dei Vestigi della storia del sonetto italiano dall’anno MCC al MDCC (Zurigo) con questa dedica, datata Hottingen,1.1.1816: 
Mi compiaccio di mandarvi tal cosa fatta segnatamente per voi; affinché se per gli anni avvenire la fortuna mi contendesse di ricevere i doni vostri graziosi, e di mandarvi alcuno d’ miei, voi rileggendo ad ogni principio d’anno questo libretto, possiate, donna gentile, e ricordarvi e accertarvi ch’io vissi e vivrò, sino all’ultimo dé giorni miei, vostro amico”.  Le altre due copie erano destinate a Susetta Fussli e a Matilde Dembowski, la donna di cui si era innamorato lo scrittore francese Stendhal.

 Prima di trasferirsi in Inghilterra, in una commovente lettera da Hottingen, Foscolo la chiede in moglie. Ma Quirina lo conosce  profondamente, e la sua risposta è disinteressata, sincera e nobile. Le sue parole dimostrano la sua rettitudine, la forza d’animo e la lealtà verso un marito che  era stato da sempre solo un fardello: 
L’offrirmi te stesso in compenso della mia costante amicizia è un atto troppo generoso, né devo accettarlo; tu perderesti il solo bene che ti resta, la libertà e l’indipendenza assoluta; io non potrei offrirti quel che vorrei di cui la Madre natura mi fu avara, e che l’età mi toglie. Vorrei piuttosto morire che essere cagione del tuo malcontento. Tu puoi trovare una compagnia che sia degna di te, nobile, giovane, ricca, avvenente, amabile….io non avendo nessuna di queste doti, ti sarei a carico come moglie; inoltre ancorché fosse facilissima cosa sciogliermi da quel legame cui non restò avvinta che la mia mano, pure non avrei cuore di abbandonare mio marito alla poca discrezione dé suoi parenti!”(lettera del 22 marzo1816).

Giunto In Inghilterra per cercare fortuna, sicuro di essere accolto onoratamente per la sua fama di scrittore antinapoleonico, all’inizio le premesse furono buone. Ma poi le cose andarono diversamente, e quando Santorre di Santarosa, esule a Londra, il 2 marzo 1824, andò a salutarlo nella villa arredata per la figlia Floriana - frutto di una relazione con l’inglese Fanny - Foscolo si nascose: i creditori avevano fatto spiccare un mandato d’arresto, la villa e i mobili messi all’asta.

La prima lettera, datata 19 settembre1816,  inviata a Quirina da Londra, otto giorni dopo il suo arrivo, è anche l’ultima. Infatti il silenzio epistolare durerà fino al marzo successivo: “Dolcissima amica, e sacra quanto Madre, e pia meco come se fossi sorella, e cara come moglie ed innamorata -“ O s’altro v’è in amor nome più caro”- Queste stesse parole  sono state incise sulla tomba di Quirina, nel chiostro di Santa Maria Novella a Firenze.
Santa Maria Novella di Firenze

Nel 1822 il padre di Quirina, Ansano,  muore, e finalmente lei può respirare, ricostruire la propria vita, con piena autonomia, sia pure avendo sempre il peso del marito. Marito che non trascurerà mai, così come si farà carico dell’amministrazione e del buon andamento delle proprietà del consorte. Per poter vigilare meglio sugli affari campestri, per molti mesi l’anno si trasferisce a Montevarchi, dove attende con tale intelligenza e solerzia alle colture agresti, da essere elogiata per le sue conoscenze in campo agricolo nel Giornale Agrario Toscano.

Apprende in ritardo della morte di Foscolo, avvenuta il 10 settembre 1827. Viene sepolto a Chiswick (Londra). Bisognerà attendere il  24 giugno 1871 perché i suoi resti vengano traslati solennemente nel tempio delle glorie italiane da lui esaltate in versi immortali. Lì riposa, accanto a Machiavelli, Galileo, Michelangelo, con i suoi amici  personali Alfieri, Niccolini, Capponi.

Dal momento della tristissima notizia, la gentildonna, che non  aveva avuto figli, ma aveva allevato ed educato  la nipote Ernesta,  figlia del fratello Fabio, si prefigge un obbiettivo nobile e  impegnativo che porterà avanti fino alla sua morte, che avverrà il 3 luglio 1847: erigere un monumento al poeta, utilizzando l’abbondante materiale in suo possesso, in buona parte autografo. E allora si fa orgogliosa vestale della memoria da consegnare ai posteri - impresa non facile - e urgente, per poter  confutare  con i documenti i detrattori di Foscolo.

 Collabora con Mazzini per la pubblicazione di una biografia di Foscolo, ma i continui ritardi dovuti agli impegni politici dell’esule genovese la deludono profondamente, finché con lui rompe definitivamente. Tempo dopo, la biografia foscoliana firmata da Giuseppe Pecchio non riscuote la sua approvazione, e allora avvicina coloro in grado di onorare la memoria dell’amato con edizioni e biografie. Tra essi, c’è un acceso ammiratore del poeta, Francesco Silvio Orlandini (1805-1865; intellettuale e patriota, fu segretario dell’Accademia Labronica, a Livorno, dove sono custodite molte carte del poeta). Orlandini  ricorda Quirina con ammirazione ed emozione, consacrandola tra le donne italiane accomunate dall’ideale di una patria unita e libera dal giogo straniero. In effetti lei è instancabile, contatta il fratello del poeta, Giulio, e cura particolarmente - forse anche perché le ricordava il tempo  indimenticabile passato a Bellosguardo - la pubblicazione del carme Le Grazie, che Foscolo lì aveva iniziato, e che era rimasto incompiuto. Il carme  fu riordinato sui manoscritti, e quando uscì la prima edizione, curata proprio da Orlandini, Quirina non ebbe la gioia di averla tra le mani, perché era  morta.

 Il carme recherà la dedica “Alla memoria della Donna Gentile”. Le carte londinesi di Foscolo, recuperate da Mayer, Gino Capponi e Pietro Bastogi fin dal 1837, insieme alle carte conservate da Quirina, resero possibile solo più tardi  la realizzazione del sogno della gentildonna: erigere un monumento alla memoria del suo  unico grande amore, con l’allestimento delle Opere edite e postume, curata da Mayer e F. S. Orlandini e pubblicata da Le Monnier tra il 1850 e il 1862.

©2014 Rita Frattolillo – tutti i diritti riservati

Fonti e bibliografia
Visita a Firenze dell’autunno 2012.
Gino Capponi, I contemporanei italiani. Torino, 1862, pp.75-76.
DBI, vol. 75, voce “Quirina Mocenni”.
fr www.G.Luti, Chroniques italiennes. Univ- Paris3.fr, visite del dicembre 2013
Full Text of “Epistolario compreso quello amoroso di Ugo Foscolo e di Quirina Mocenni”.
http:// it.wikipedia.org/ wiki/ Quirina-Mocenni-Magiotti.
interbooks.eu/poesia/ottocento/ugofoscolo.html.
Francesco Silvio Orlandini, Poesie di Ugo Foscolo, 1856, p. 205.
S. Pellico, Opere scelte, a cura di Carlo Curto, Roma, 1954, p. 778.
www.Consiglio.regione.toscana.it, Epistolario.





1 commento:

  1. Brava! scritto con amore ma decisamente corretto e fonte di molte notizie per chi ama ed ammira la poesia immortale del Foscolo che dovette molto anche alla donna gentile... Saluti ettore

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